Voci e volti dalla Terra di Mezzo: J.R.R. Tolkien tra letteratura e cinema
Il 2 settembre 1973 moriva lo scrittore e filologo britannico John Ronald Reuel Tolkien. Sebbene siano molti gli anniversari legati al suo mondo tra il 2016 e il 2017 – dagli ottanta anni dalla pubblicazione de Lo Hobbit (il prossimo 22 settembre) ai quaranta de Il silmarillon (il 5 maggio 2017), passando per il 125esimo anniversario della sua nascita (il 18 febbraio 2017) –, cogliamo l’occasione per approfondire maggiormente uno degli aspetti che hanno maggiormente caratterizzato l’immaginario dello scrittore britannico negli ultimi anni.
Il successo di Tolkien, tuttora in testa alle classifiche di vendita in molti paesi – a quarantatré anni dalla sua morte –, è dovuto essenzialmente alla straordinaria versatilità dei suoi lavori, ovvero alla capacità di produrre un’opera dai molteplici livelli di lettura, complessa ma allo stesso tempo popolare e di facile comprensione.
L’immaginario fantasy moderno deve a Tolkien non solo lo stile meticoloso, ma anche un concetto essenziale per l’intero genere letterario: i toni epici. Il mondo architettato dallo scrittore, ad ogni grado di lettura, sembra discendere da un universo completo e ben definito. E il cinema degli ultimi anni non può che esserne debitore. Tuttavia, se vivesse ancora oggi, il “padre degli hobbit” probabilmente, secondo molti, inorridirebbe di fronte ad alcune derive fantasy scaturite dai suoi capolavori. E non lo renderebbe felice neppure constatare di essere diventato ispiratore di una serie di successi ai botteghini o scoprire che Lo Hobbit, un romanzo di poche centinaia di pagine, sia diventato una lenta e prolissa trilogia.
Tralasciando questi aspetti del tutto ipotetici, il rapporto tra cinema e letteratura è da sempre un argomento sempre dibattuto. Malgrado negli ultimi anni, specie in ambito accademico, sia in parte diminuita l’attenzione verso questo tema, esso continua a influenzare numerosi studi e altrettante ricerche. Nel distinguere la “versione”, ossia la ripresa totale di un’opera letteraria, e la “trasposizione” cinematografica, basata su un testo scritto, nella trilogia de Il signore degli anelli è facilmente riscontrabile una notevole fedeltà al libro di Tolkien e, per quanto possibile, un pregevole arrangiamento delle atmosfere e del significato stesso del romanzo. Ne Lo Hobbit, invece, malgrado la pur sempre eccellente qualità cinematografica, l’inserimento di alcuni elementi esterni alla storia non riesce a fornire elementi altrettanto fedeli. È vero che gli autori hanno attinto al cospicuo corpus di note che lo stesso Tolkien ha redatto durante la stesura de Lo Hobbit, ma non sono state sufficienti: alcune semplici note, anche se dettagliate, non possono di certo rimpiazzare l’atmosfera e lo scenario di un romanzo corposo e completo come Il signore degli anelli.
Lo Hobbit è una storia complessa, ma è pur sempre una fiaba, anche se “la più bella fiaba degli ultimi cinquant’anni”, secondo la definizione del poeta W.H. Auden. Con questo, però, non si intende affermare che il regista abbia stravolto l’opera tolkieniana, anzi, al contrario. Le aggiunte o cambiamenti introdotti rendono comunque lo spettacolo piacevole.
Ciò detto, come rispondereste, dunque, alla fatidica domanda: è meglio leggere il libro o guardare il film? Nel caso di Tolkien, forse, sarebbe meglio optare per entrambe le cose.
Luigi Caiafa
Luigi Caiafa nasce in Puglia nel 1985. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in Archeologia e Storia dell’arte antica presso la Sapienza, Università di Roma, inizia un percorso di formazione in ambito editoriale. Da gennaio 2016 collabora con la casa editrice Historica e la rivista online Cultora.