Unione Europea e Stati nazionali
Il risultato del referendum greco che ha visto trionfare il fronte del No con circa il 61% dei voti riapre cruciali questioni d’ordine politico, economico e persino geopolitico (forse su tutte attualmente il fatto che Atene rischia di allontanarsi sempre più dal Mediterraneo per entrare nell’orbita russa, rinvigorendo d’altra parte quella che anche Samuel Huntington, l’autore del famigerato Clash of civilizations, individuava come civiltà ortodossa) e attende che politologi, economisti e storici esprimano analisi e previsioni credibili.
Ad ogni modo, quelle bandiere che sino all’altro giorno sventolavano in piazza Syntagma si traducono, come ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera lo scorso lunedì, nel più grande strappo avvenuto in sessantacinque anni di integrazione europea. Dal punto di vista storico e politico si tratta di un fallimento bell’e buono, ma è anche vero che tale esito è, sotto certi aspetti, tutt’altro che sorprendente, anche al di là di contingenti e chiacchieratissimi fattori economico-finanziari.
L’Europa ne ha fatta di strada dall’epoca in cui piccole entità economiche e statuali – i comuni dell’Italia centro-settentrionale – erano capaci di fronteggiare un impero, oppure da quando la piccola Genova controllava il Mediterraneo e le città della Lega anseatica dominavano i commerci del nord del continente. Nel corso dei secoli, entità politiche ed economiche sempre più vaste e complesse sono venute a crearsi per far fronte alle esigenze di un mondo che via via andava allargandosi richiedendo soluzioni inedite: in Italia si passava dai comuni alle signorie, dai principati alle piccole ma solide entità statali regionali, mentre in altre aree d’Europa, laddove vi erano le condizioni, si sperimentava la costruzione dei grandi Stati-nazione (così in Francia, in Spagna e in Inghilterra). Tra il XIX e il XX secolo, compiuta una volta per tutte l’Europa delle nazioni, nuovi processi storici e identitari, nonché nuove urgenze politiche ed economiche, hanno portato a un nuovo riassetto secondo cui i maggiori conglomerati del mondo entravano in relazione tra loro in un sistema sempre più globalizzato e quindi interrelato; tutto ciò sino a quando per poter affrontare in maniera credibile la sfida posta dagli Stati Uniti e dalla superpotenza antagonista di allora, l’Unione Sovietica, l’Europa si convinse di unire le proprie risorse presentandosi come un’entità politica ed economica unita. Dopo il tramonto dell’unipolarismo americano successivo all’epilogo dell’esperienza sovietica, il mondo globale attuale si presenta oggi sotto una prospettiva che diremmo tripolare: da una parte gli Stati Uniti, che stanno dando risposte credibili alla peggiore depressione economica che la storia ricordi; dall’altra la Cina che, riemersa dal suo “sonno”, appare una avversaria (parzialmente) credibile; infine l’Unione Europea, che nonostante tutto seguita a essere l’area più ricca del globo.
L’Unione Europea, con l’ultimo referendum greco, ha perso una battaglia importante ma, per varie ragioni, sarebbe errato attribuire tutta la colpa alla Germania. Tra le varie questioni sul tappeto ve n’è una che potrà sembrare per certi tratti banale, e purtuttavia non lo è affatto: mentre gli Stati Uniti sono nati come federazione di Stati, bypassando dunque, in un certo senso, il problema del superamento dello Stato nazione come lo intendiamo noi Europei, e mentre la Cina ricalca fieramente i propri confini storici forte di uno spirito identitario radicato in mille anni di storia unitaria, l’Unione Europea deve tener conto di una situazione e di un retaggio storico assai più complesso e problematico: giustamente Ernesto Galli della Loggia ha sottolineato (ieri mattina sul Corriere della Sera) che l’errore dell’europeismo consista nel sottovalutare lo Stato nazionale, ossia ritenere che “ogni funzione storica dello Stato nazionale” sia ormai “esaurita”. Il paradosso dell’Europa è che la necessità di essere competitiva sul piano internazionale al cospetto delle altre grandi entità politico-economiche del globo si scontra con inevitabili resistenze interne, specie forse in quei paesi che non solo non hanno pari autorevolezza ma, de facto, nemmeno stessa autorità di paesi come la Francia e la la Germania e dinanzi alle quali in certi casi finiscono per enfatizzare il proprio radicamento alla propria identità nazionale.
Soltanto un’equilibrata conoscenza della storia e di ciò che essa ha prodotto potrà aiutare a chiarire le radici di queste resistenze, e ancora soltanto attraverso essa si potrà trovare la via perché tali resistenze potranno essere superate per il bene comune.
Marco Testa
Nato nel 1983 e cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, ha portato avanti gli studi classici e storici parallelamente a quelli musicali. Autore di saggi e numerosi articoli, è stato relatore in diverse fiere del libro in Italia. Redattore di “Cultora” e del “Corriere Musicale”, attualmente lavora presso l’Archivio di Stato di Torino. Adora (quasi) tutto ciò che è Musica, il mare, l’horror, la letteratura di viaggio, gli antichi borghi, il buon cibo e molto altro. Vive a Torino dal 2008.