Troppa tecnica e poca emozione, Sully di Clint Eastwood è un successo a metà
Quando circa due anni fa uscì nelle sale American Sniper critici e spettatori si divisero nettamente sul giudizio da dare al film: da un lato vi era chi lo amava sostenendo la presenza di uno sguardo profondamente umano sul protagonista, mentre dall’altro vi erano i suoi detrattori, che criticavano la retorica bellica dell’opera e del suo eroe. Personalmente non amai il lavoro con Bradley Cooper non tanto per ragioni politiche e ideologiche, ma soprattutto perché lo trovai, al netto di alcune sequenze riuscite, cinematograficamente piatto e piuttosto privo d’interesse.
Un problema che si può ritrovare, pur in misura minore, anche nell’ultimo lavoro diretto da Clint Eastwood: Sully, presentato in anteprima al 34° Torino Film Festival nella sezione “Festa mobile”.
L’opera racconta la storia vera di Chesley “Sully” Sullenberg, il pilota che nel 2009 si trovò a gestire un incidente aereo potenzialmente mortale: durante un volo partito da New York e diretto a Charlotte, uno stormo di uccelli si abbatté sull’aereo danneggiandone i motori. Sully, per salvare i passeggeri a bordo, scelse di atterrare sul fiume Hudson. Un’operazione riuscita, ma altamente rischiosa, per la quale l’uomo venne in seguito processato.
La vicenda, in sé, risulta sicuramente interessante, anche perché incentrata su un individuo al tempo stesso fragile e sicuro alle prese sia con un mondo che sembra non volerlo comprendere e ascoltare (in tal caso i membri della commissione che giudicano il suo caso) sia con i propri tormenti morali e psicologici. Un soggetto che pare dunque particolarmente adatto allo sguardo spesso umano, profondo e toccante dell’autore di Gran Torino, il quale ha più volte descritto e raccontato personaggi eroici e contradditori.
Purtroppo, però, in questo caso Eastwood sfrutta minimamente tali potenzialità e realizza un’opera poco incisiva, nella quale i fattori prima citati faticano a emergere con forza, a causa di alcune scelte di regia e di sceneggiatura. Infatti, se lo script di Todd Komarnicki si perde nelle troppe figure secondarie e si concentra eccessivamente sugli aspetti tecnici della questione lasciando in superficie quelli umani (il rapporto del pilota con la moglie, i dubbi del protagonista sulla propria professionalità, lo stress al quale è sottoposto, ecc.), il regista sembra in alcune sequenze più interessato a riprendere le simulazioni di volo che i volti e le reazioni del protagonista, interpretato da un Tom Hanks piuttosto irrigidito.
Elementi che – nonostante alcuni riusciti momenti ironici – rendono la narrazione scorrevole ma piatta, e – soprattutto – fanno fallire il tentativo di cogliere a pieno tutta l’umanità e le sofferenze di Sully, che vengono esposte e comprese ma mai veramente approfondite.
E in tutto ciò vi è anche una sorta di paradosso: il film si concentra molto sullo scontro tra la tecnocrazia dei burocrati e il fattore umano invocato dal protagonista e, pur simpatizzando per il secondo, finisce con le sue scelte narrative e registiche di privilegiare involontariamente la prima.
Juri Saitta per CiaoCinema.it
Redazione
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