Quando la letteratura influenza la politica. Il caso dell’autore cinese letto da Obama
L’edizione 2015 degli Hugo Awards, il premio celebre per la letteratura sci-fi, verrà ricordata per l’inaspettato successo di un romanzo di fantascienza cinese. Si tratta del primo capitolo della trilogia scritta da Liu Cixin, The Three-Body Problem, tradotto in inglese da Ken Liu ben otto anni dopo la sua uscita nel 2006. A far scalpore non è stata solo l’entrata nel mondo editoriale americano di un testo made in China, ma in particolare la scoperta di una insospettabile comunicatività del reale da parte dell’Oriente. La Cina riesce finalmente a parlare di sé. Perché, oltre la veste fantascientifica dell’opera, l’autore racconta con atroce nudità un paese che avverte sulle spalle il peso della Rivoluzione Culturale, di quella guerra civile dell’ultimo periodo della leadership di Mao Zedong. La nuova fantascienza cinese, che tanto sorprende noi occidentali, ora si configura come rifugio per l’immaginario collettivo orientale: è proprio nel discorso letterario che confluiscono storia, voci, aspirazioni e desideri di un popolo che solitamente non svela senza ambiguità le proprie sfumature.
In un’epoca di crisi, una scoperta scientifica da parte di una studiosa terrestre permette di inviare un segnale di aiuto allo spazio remoto. Il messaggio, che viene decodificato dagli alieni (i Trisolari), riflette un desiderio di cambiamento: la donna chiede di conquistare la civiltà umana, giunta a un punto di non ritorno. E se davvero i nostri governi, imprigionati in un pessimismo radicale, non fossero più in grado di risollevare le sorti del mondo? L’esperienza della lettura va oltre il puro divertissement. La pensa così Obama, che durante le vacanze alle Hawaii, ha pensato bene di arricchire il suo tempo libero proprio con questa lettura. Il suo interesse è probabilmente dettato dal fatto che la fantasia creativa non solo rispecchi la terra impenetrabile di Xi Jinping, promotore di un nuovo modello di sviluppo, ma permetta di inserire il lettore – orientale e occidentale – in una prospettiva di verosimiglianza che necessariamente comunica con il vero. Certamente la fantascienza non darà le risposte al Presidente in merito alla sua politica estera e all’asse Usa-Cina inaugurato nel 2008, ma potrebbe svelare una traccia interpretativa di un futuro possibile o da evitare.
Del resto, realtà e letteratura non sono due sfere separate. Barenghi, nel saggio Cosa possiamo fare col fuoco? Letteratura e altri ambienti, sottolinea come l’universo letterario rappresenti una «ginnastica virtuale della conoscenza». Essa è prima di tutto una modalità conoscitiva e comunicativa dell’umano. Più esattamente, la letteratura adempie a una funzione socio poietica: «Non riflette una socialità data, la istituisce, la forgia». E quando la letteratura diventa la matrice stessa del reale ci spostiamo sul piano metafisico. Senza allontanarci dal terreno dalla fantascienza, lo scrittore Philip Dick, con la sua visione distorta e patologica, della realtà ha influenzato quella che tra tutte le arti si presta a carpire e riproporre in nuove forme le molteplici interpretazioni della realtà soggettiva: il cinema. Tecnologie avanzate e scellerati monopoli commerciali sono le fondamenta sui cui si innalza la visione di un futuro – contaminazione del prossimo reale – raccontata nel film Blade Runner (1982) diretto da Ridley Scott: «Sono un filosofo che si esprime in romanzi, non un narratore; la mia abilità nello scrivere romanzi e racconti viene da me impiegata come un mezzo per formulare le mie percezioni. Il nucleo di ciò che scrivo non è arte, ma verità.»
La letteratura riguarda ogni cosa. E come ogni cosa in natura, sostiene Benjamin Costant, «è al tempo stesso causa ed effetto». Il caso Moro, trattato con abile maestria nel pamphlet di Sciascia, L’affaire Moro, agli occhi dell’autore si è presentato come una letteratura che andava restituita alla vita. È Pasolini che crea l’idea, l’icona che poi le Brigate Rosse rendono protagonista della loro mise en scene e che Sciascia racconta: «Gli intellettuali avrebbero avuto l’allucinazione di aver promosso la realtà». Tramite intuizioni e deduzioni, le sintesi non potevano che apparire all’autore-inteprete come profezie o anticipazioni di verità. Se la letteratura è la forma più alta del vero, proprio in virtù del suo sistema di oggetti che variamente e alternativamente si trasformano nella trama di connessioni tra io e mondo, si declina nei termini di un non-luogo in cui possiamo costruire un repertorio di schemi per orientarci nel mondo. E per capirlo, anticipando la comunicazione dilazionata dello spazio e nel tempo.
Beatrice Cristalli
Beatrice Cristalli nasce nel 1992 a Piacenza. Laureata in Lettere con una tesi in Critica leopardiana presso l’Università degli Studi di Milano, prosegue la carriera accademica frequentando il biennio specialistico. Il suo blog è stato inserito nello Spotlight “scrittori” sul portale Tumblr. Attualmente è impegnata in un progetto accademico del Seminario di Filosofia della Letteratura presso l’Università degli Studi di Milano. Scrive per Cultora da gennaio 2016.