Professione Ghostwriter
di Beatrice Tiberi, in Blog, del 23 Ago 2015, 10:01
Buongiorno Susanna, confesso la mia ignoranza. Il mio concetto di ghostwriter è quello di una persona dotata di un talento che, per motivi mille, si mette al servizio di una che vuole spacciarsi per scrittore e gli consente di ingannare i lettori. Immagino lei non ci si riconosca.
Buongiorno a lei, Beatrice. No, non c’è alcun inganno, piuttosto è una questione di ruoli. Io ho fatto dello scrivere il mio mestiere, prima come giornalista e poi come scrittore fantasma. Per arrivare a essere un ghost writer, ho perfezionato la scrittura narrativa grazie agli insegnamenti di un grande scrittore, Raul Montanari, che è anche un eccellente maestro. Non sta a me dire se ho talento, penso che lo possiedano in pochi, in ogni caso spetta ai lettori giudicare. Le persone con cui entro in contatto non hanno le chiavi di questo mestiere, ma hanno una storia da raccontare. Le buone storie non sono facili da trovare.
In un paese dove ci si lamenta in continuazione del numero di gente che si ritiene, a torto, in grado di affabulare con la parola scritta, c’è posto per un ghostwriter alla luce del sole?
Più che mai. Per come lo interpreto io, il ruolo del ghost writer esce dall’anonimato in cui spesso entra il narratore, colui che mi racconta oralmente la storia e che talvolta decide di assumere uno pseudonimo letterario perché, qualora venisse identificato, i contenuti della narrazione potrebbero creargli delle difficoltà. Io propongo la realizzazione di romanzi autobiografici, testi in cui la persona che racconta si dovrà riconoscere. I narratori sono quasi sempre persone “comuni” ancora relativamente giovani. Hanno alle spalle vite molto intense che vedono coinvolti altri, di solito tutti viventi. Ci vogliono tatto e prudenza per evitare di rompere equilibri spesso precari.
So di scrittori che sono tampinati da persone che, pur guardandosi bene dall’acquisto e dalla lettura di libri, pretendono di avere una vita degna di diventare la trama di un romanzo. Sono questi i suoi clienti?
Una delle prime domande che faccio a un potenziale narratore è proprio questa: “Cosa le piace leggere?”. Capita che qualcuno mi risponda confessandomi di non essere un lettore, ma non è certo la regola. A ogni modo io scelgo sia il narratore sia la storia. Mi devono piacere tutti e due e, a questo punto, devo ancora verificare se tra me e il narratore potrà nascere quella particolare corrente di fiducia, confidenza e simpatia che è il presupposto necessario per poter lavorare insieme, e con profitto, per diversi mesi. Se manca uno di questi elementi, se qualcosa non mi convince, passo. Non sarò io il ghost writer per quel narratore.
Pur essendo un’accanita frequentatrice di libri e librerie, non mi è mai capitato tra le mani un volume che dichiarasse di essere stato scritto da X su un’idea di Y. E mi sorge la domanda: le storie che lei scrive per i suoi clienti da chi vengono pubblicate? Finiscono in libreria? Hanno un mercato? Oppure sono quelli che il mercato anglosassone chiama vanitybook?
Da qualche anno sono in vendita molti libri scritti a quattro mani, dallo scrittore e dal narratore. Alcuni di questi sono anche dei successi planetari; Open di Agassi, scritto da J.R. Moehringer, uscito nel 2009 è ancora oggi un best seller, ma ce ne sono anche altri. Per quanto riguarda la pubblicazione è una questione di scelta. In Italia la crisi dell’editoria sta dentro una complessa evoluzione del sistema, tutto è in divenire e oggi le attività e gli oneri per l’editore e l’autore si mescolano in nuove regole che stentano a trovare un ordine preciso. Considerato ciò e guardando al futuro, in questo momento la mia scelta è di pubblicare attraverso il self publishing gestito in modo professionale, un percorso molto impegnativo che richiede il coinvolgimento di professionalità diverse e dove nulla può essere affidato al caso. La distribuzione è eccellente, quale nessun editore può garantire, e il libro è disponibile anche nelle librerie. La regola dell’eccesso, scritto da me con Renato Tormenta ed edito con il self publishing, è uscito a maggio, sta andando davvero bene e ha riscosso l’interesse di alcuni lettori anche oltreoceano, una soddisfazione inattesa. Rispetto alla vanity-press, invece, ho una chiusura totale.
Non le sembra di tradire la sua capacità di raccontare storie mettendosi al servizio di chi la ingaggia?
Anzi, il contrario. Gli scrittori sono ladri di storie, rubano ovunque e da chiunque. A tutti quelli che scrivono sarà capitato di trovarsi, in treno, al bar o in metropolitana e trattenere perfino il respiro per ascoltare una conversazione interessante, una trama intrigante che potrebbe essere lo spunto per un racconto, per non dire dei segreti che ci ha confidato l’amico di turno e che, trasfigurati in modo opportuno, hanno costituito l’ossatura di un romanzo di cui andiamo fieri. Io raccolgo fatti, personaggi, emozioni, accadimenti reali di cui è protagonista qualcuno che attraverso di me racconta se stesso. Compio un viaggio dentro una persona e approdiamo insieme in un libro, una vita che “è” un romanzo. Le pare poco?
Scrive storie sue? Ne ha il tempo?
Sì, scrivo storie mie, a rilento, quando posso tra un libro e l’altro. Mi serve anche a decomprimermi, a uscire dall’ennesima narrazione, sempre difficile e impegnativa, che lascia comunque un segno indelebile anche dentro di me. Quando decido di condividere una vita, mi metto in gioco anch’io. Non è mai facile.
La richiesta più strana che abbia mai avuto.
Le richieste che mi vengono fatte sono quasi sempre molto particolari, per motivi di riservatezza non ne posso parlare. Posso però accennare a una situazione che ha riguardato una persona in età piuttosto avanzata che ha voluto mettere su carta un segreto di famiglia, poi affidato al notaio per essere reso pubblico ai figli dopo la sua morte. Il segreto era per certi aspetti sconvolgente, mi rimarrà per sempre la curiosità di conoscere la reazione dei figli.
La volta che ha rifiutato un contratto.
Capita spesso, come ho detto scelgo il narratore e la storia. Talvolta suggerisco al narratore di prendere del tempo prima di dare corso al progetto autobiografico. Di solito ciò avviene quando mi rendo conto che la persona che mi interpella non ha messo la giusta distanza tra sé e ciò che vuole raccontare. Raccontarsi con onestà non è facile ed è quasi sempre anche doloroso.
La storia scritta per procura di cui va fiera.
Le storie che mi entusiasmano di più sono sempre le ultime che ho scritto. Ho già citato il libro di cui sono co-autrice con Renato Tormenta, La regola dell’eccesso, una storia dura che mette in primo piano il tema delle dipendenze, purtroppo tornato protagonista delle pagina della cronaca. Le vicende da cui prende spunto, davvero drammatiche, sono reali, ciò ha creato un maggiore coinvolgimento da parte dei lettori che l’hanno molto apprezzato. In autunno uscirà un altro libro, titolo Tessa e basta, racconta della guerra dei Balcani vissuta dal punto di vista di una ragazza di quindici anni, purtroppo ci sono alcuni elementi che ci riportano all’attualità. È un libro molto bello, almeno così hanno detto coloro che l’hanno letto in anteprima. Infine c’è il libro che sto scrivendo, di cui non posso dire ancora niente, solo che la storia è davvero importante.
Consiglierebbe a una persona col talento della scrittura di intraprendere questa strada?
Quello del ghost writer è un mestiere che richiede capacità speciali: occorre sapere scrivere, sapere ascoltare, sapere fare le domande giuste, sapere tenere la misura con la persona con cui si lavora, sapere interpretare il non detto, rispettare i silenzi, astenersi dal giudicare… Tutto ciò è molto impegnativo, ci sono cose che impari solo avendo vissuto a tua volta. Capacità di scrittura, esperienza di vita e anche voglia di sacrificarsi: di certo non è un mestiere per tutti.