“Porta Chiusa”: l’esistenzialismo di Sartre al Teatro Le Salette
Una musica dance esplode nella sala, coinvolgendo fin da subito lo spettatore incuriosito: entra il Cameriere, che non sale sul palco, rimanendo tra il pubblico ad introdurre scenograficamente il primo dei protagonisti, il brasiliano Garcin. Dopo i primi minuti di presentazione, uscito il Cameriere, il palcoscenico si apre e compaiono, uno alla volta, i personaggi: Garcin, Inès, Estelle. Sono loro il centro dello spettacolo, è su di loro che per circa 90 minuti si concentrano gli occhi di chi li osserva, di chi li scruta. Si avrebbe voglia di non perderli mai di vista, di osservare per tutta la durata della scena ognuno di loro, ma non è possibile, se non a costo di sacrificare gli altri due: lo spettatore vuole riuscire a controllare tutto ciò che succede sul palco, ma tale obiettivo è irrealizzabile. E’ un continuo susseguirsi di sguardi, di gesti, di silenzi comunicativi, dentro una stanza significativa, nonostante la sua spogliezza: una porta, tre sedie, un tavolino e duetre oggetti simbolici messi lì per essere visti, per essere notati, per essere parte integrante del racconto.
La storia è la formidabile narrazione di tre anime che piano piano si rivelano agli altri, ma soprattutto a se stesse.La potenza di una trama in realtà scarna, che si basa tutta sul dialogo, va di pari passo con la bravura di tre attori intensi, che riescono a mantenere viva l’attenzione sulle loro parole e sulle loro pause, sulle loro urla e sui loro silenzi. Garcin, Inès ed Estelle sono morti e sono all’Inferno, bloccati all’interno di una stanza in cui non ci sono boia e fuochi ardenti: ci sono solo loro tre, drammaticamente soli e drammaticamente umani.Garcin è un brasiliano, pacifista e disertore, che in vita tradiva ripetutamente e platealmente la moglie, umiliandola e offendendola per il solo gusto di esercitare il suo potere su di lei; Inès è una lesbica, impiegata alle poste, colpevole di aver distrutto, per mera voluttà, una coppia felice. Infatti, aveva sedotto una ragazza, portandola ad uccidere il marito (tra l’altro cugino di Inès): per tutto il dramma sarà lei a manipolare Garcin ed Estelle, convincendoli prima ad ignorarsi, perchè altrimenti sarebbero stati i boia gli uni degli altri, poi determinando il gioco del massacro, il gioco delle rivelazioni, il gioco della loro dipendenza reciproca.Estelle, invece, inizialmente una snob di alta società, sicura di sè, spavalda e a tratti esibizionista e frivola, si mostrerà alla fine per quella che è: una donna che, avendo tradito il marito con un uomo più giovane, ed avendo con quest’ultimo una figlia, ha ucciso la figlia e la causa del suicidio dell’amante.
I personaggi sono energici, esplodono quasi violentemente, gli attori sono in grado di far emergere tutto il loro ardore, la loro crudeltà, la loro umanità. Chi sembra dominare la scena è Inès, interpretata da una impostata e risoluta Ilaria Bularelli: gioca molto con il suo ruolo di lesbica, da ”maschiaccio”, da donna forte e pungente, forse esagerando con i gesti ed i movimenti, a tratti innaturali e stonati, ma sicuramente incisivi e coraggiosi. Sartre (ed in questo caso la doppia regia di Emilia Miscio e Marco Petrino) mette in scena il dramma dell’esistenza umana; un’esistenza falsamente condizionata dagli altri ma tragicamente condizionata dal giudizio che si ha nei confronti di se stessi. L’individuo è solo in ogni istante, sebbene viva in società ed è questo che i tre protagonisti vogliono nascondere per l’intero atto: ognuno si dimena e si strugge per avere un giudizio positivo dagli altri due (e dei cari lasciati in vita), ognuno richiede fiducia, ognuno richiede redenzione, eppure nessuno riesce ad ottere nulla di tutto ciò: il modo in cui gli altri li vedono è il modo in cui loro stessi si vedono. Alla fine si scopre che la porta, quella porta che tanto odiavano perché teneva loro bloccati in quell’Inferno, era aperta. Nonostante questo, nessuno dei tre ha il coraggio di andarsene, perché ormai il legame è stato saldato dalle loro insicurezze, ormai le anime si sono incrociate ed sono condannate a convivere per l’eternità. Inès voleva Estelle, Estelle voleva Garcin, Garcin voleva Inès: costretti l’un l’altro da un legame a doppio filo insolubile.
Uno spettacolo travolgente ed eccitante, uno spettacolo sartriano che si nutre di insensatezza, di responsabilità, di vita, di morte. Uno spettacolo da non perdere.