Parigi, il giorno dopo: non abituiamoci alla paura
Nell’esatto momento in cui sto scrivendo questo articolo, a Parigi, a seguito di un attacco terroristico rivendicato dallo Stato Islamico si contano almeno 7 sparatorie in centro città, 128 vittime e altrettanti feriti. Questi numeri sono destinati ad aumentare in un bilancio che assomiglia tanto a quello di una battaglia campale. La città è blindata, la gente rinchiusa in casa terrorizzata. Ma non ci dobbiamo abituare alla paura.
La paura deve essere e rimanere un elemento estraneo alla nostra quotidianità. Non dobbiamo pensare che sia normale convivere con essa.
Ci stiamo abituando. Strano a dirsi, ma ci stiamo abituando. Tant’è che per l’edizione straordinaria del Tg1, notiziario televisivo della prima rete nazionale, abbiamo aspettato il triplice fischio di Belgio-Italia, mentre a Parigi si dichiarava lo stato di emergenza per la prima volta dal 1944.
Non abituiamoci. Non pensiamo che tutto questo sia normale. Non pensiamo che dei freddi assassini possano mescolarsi tra la folla dello Stade de France mentre si disputa una partita amichevole di calcio tra Francia e Germania ed esplodere tre granate. Non pensiamo che sia normale che in un ristorante nel decimo arrondissment di una delle tre città più visitate dai turisti di tutto il mondo, dei criminali possano uccidere a colpi di kalashnikov nel nome di Dio. Non pensiamo che sia normale che in un locale di musica, cento giovani europei possano essere abbattuti uno ad uno, come uccelli.
Non abituiamoci. Sicuramente tutti noi ci ricordiamo dove eravamo quando abbiamo saputo dell’attentato alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. Ma se vi chiedessi dove eravate meno di un anno fa, il 7 Gennaio del 2015 quando Parigi, sì la stessa Parigi di ieri sera, la ville Lumiere, quando quella stessa Parigi è stata colta di sorpresa dagli stessi jihaidisti a Rue Nicolas-Appert, sono sicuro che molti di voi, molti di noi a dire il vero, avrebbero problemi a ricordare dove si trovavano.
Non abituiamoci. Ricordiamoci dove eravamo ieri sera. Ricordiamoci cosa stavamo facendo, cosa stavamo mangiando o bevendo, con chi stavamo parlando quando a Parigi gli incubi più bui sono diventati realtà.
Non abituiamoci. Non abituiamoci a convivere con la violenza. A prendere un treno o un aereo, ad andare in un pub a bere una birra, a sederci in un ristorante nel decimo arrondissment di Parigi e pensare che da un momento all’altro possa crollarci il mondo addosso.
Non abituiamoci. Non abituiamoci a guardare con sospetto qualcuno che è vestito all’islamica, a chiederci se anche lui è un terrorista, a cambiare vagone della metropolitana se qualcuno che ci fa paura per il colore della pelle, per il modo in cui si veste o per la musica che ascolta, si siede vicino a noi.
Non abituiamoci. Non abituiamoci ad ascoltare indifferenti notizie di stragi, attentati sanguinari, ostaggi e vittime di un nemico a cui non sappiamo dare un nome, un volto, un colore, una nazionalità, una lingua, una voce.
Non abituiamoci. Non abituiamoci agli stati di emergenza, alla sospensione di Schengen, ai controlli alle frontiere e alle perquisizioni.
Oggi Parigi si è svegliata dopo una notte da incubo e ha scoperto che nel frattempo è nata un’opinione pubblica europea . Oggi è tempo di piangere i nostri morti e curare i nostri feriti. Ma domani sarà già tempo di cominciare a costruire di nuovo.
Perché noi non ci abitueremo mai.
Francesco Frisone
Francesco Frisone, nato nel 1994 a Roma. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Pavia, è allievo IUSS e alunno dell’Almo Collegio Borromeo. Ha frequentato la London School of Journalism nell’estate 2014 e ha lavorato per l’Ufficio del Sindaco Depaoli a Pavia nel 2015. Si interessa di media, politica e campagne elettorali.