Nella Calabria della ‘Ndrangheta, le dolenti Anime Nere di Munzi
Del suo passaggio nelle sale lo scorso anno, sembra non se ne sia accorto nessuno. Eppure Anime Nere era in concorso all’ultimo Festival di Venezia, dove alla proiezione ha ricevuto una standing ovation e ben tredici minuti di applausi, salutato con favore dalla critica internazionale, in competizione anche al Festival di Toronto, esportato negli Stati Uniti dove pubblico e critica sono impazziti per il film del romano Francesco Munzi. “Rare volte abbiamo visto esaltare così una pellicola italiana. Un entusiasmo che ci sta facendo registrare una crescente richiesta della pellicola nel territorio statunitense”, ha detto David Shultz della Vitagraph, la casa di distribuzione del lungometraggio in America. “Un inquietante, ben recitato ritratto di una società feudale incarnata di violenza, rivalsa e machismo mortale. L’antitesi di uno splatter sensazionalista. Questo non è intrattenimento, è la vita e la morte”, ha scritto, invece, sul New York Times il critico Stephen Holden.
Qualche giorno fa sono arrivate le ben sedici candidature ai prossimiDavid di Donatello, dove Anime Nere ha scalzato concorrenti più illustri e acclamati dal pubblico come Il giovane favoloso e Mia madre. Molti potrebbero rintracciare nell’opera di Munzi tracce di Gomorra e Romanzo Criminale, ed imputare a queste facili familiarità il successo Oltreoceano, e non solo. Ben scritto e ben recitato, se un prodotto di qualità diffonde storie su realtà scomode, crude e vicine, e che troppo spesso l’Italia dimentica di avere, ben venga il successo e il plauso straniero. Tratto dal romanzo di Gioacchino Criaco, il film narra la storia di tre fratelli dell’Aspromonte, Luciano, Rocco e Luigi eredi di un lascito criminale. Luciano, il maggiore, è rimasto ad Africo a badare alle capre e alla terra. Gli altri due vivono a Milano, dove Rocco, imprenditore, ricicla nella sua impresa edile i soldi sporchi di droga di Luigi. Il figlio di Luciano, Leo, testa calda di ideali distorti, riaccende la faida con la famiglia rivale dei Barreca. Il ritorno, prima di Luigi poi di Rocco, al paese diventa necessario, per riaffermare delle ataviche supremazie.
Interamente girato ad Africo, paesino della Locride tra i più famosi avamposti della ‘Ndrangheta, il regista Munzi racconta così le riprese: “Ho scoperto che non era vero che fosse impossibile fare un film all’interno di quella comunità. Ho scoperto che la gente è chiusa perché subisce un approccio aggressivo e volgare da parte di una stampa che cerca la spettacolarizzazione ad ogni costo e non vuole approfondire. Quando hanno capito che da parte mia c’era una approccio onesto e realmente curioso, ho trovato un’apertura straordinaria. E alla fine è stato più facile girare ad Africo che non a Milano”. Continua: “Ad Africo, come in altre parti della Calabria, ho visto un Sud che non conoscevo, un Sud che si sente ancora una parte distaccata del paese, che non si riconosce nell’interezza dell’Italia e questo mi ha fatto capire che la questione meridionale è ancora aperta”, ha dichiarato a La Repubblica. “Il Sud come corpo estraneo è un dispiacere, ma è un dolore che non si può ignorare. D’altro canto in Aspromonte, un luogo piccolo e difficile da raggiungere, si sono svolte e si svolgono ancora vicende che riguardano non solo l’Italia ma il mondo intero. All’interno di paesini piccolissimi vengono gestite enormi quantità di droga che arrivano dal Sud America, dall’Olanda. Questo ci dà l’idea di come il piccolo sia legato al grande”.
Il dialetto ha un ruolo chiave nei dialoghi del film: è linguaggio criptico, misterioso che si svela solo ai detentori di quei significanti, di quei modi di dire che rimangono volutamente stranieri a chi li vuole ignorare. Le atmosfere cupe nelle scene più importanti, dominate da una fotografia che sceglie le scale cromatiche del nero e del grigio rendono le vicende raccontate quasi ermetiche, chiuse in una soffocante cortina di pioggia che contribuisce a quello straniamento di paese perso in un altrove.
I tre fratelli sono interpretati da Fabrizio Ferracane, Peppino Mazzotta e Marco Leonardi, circondati da abitanti di Africo e paesi vicini, arruolati dal regista sul posto. I giovani Giuseppe Fumo e Pasquale Romeo sono gli esempi eccellenti di questa scelta del regista, un po’ neorealista: entrambe alla loro prima prova d’attore, hanno saputo impersonare la scissione che vive la gioventù nata in quei luoghi, a metà tra una cultura arcaica e collusa e il desiderio di libertà.
Il protagonista di Anime Nere, silenzioso e dolente, è sicuramente Fabrizio Ferracane, anche per la potenza espressiva che ha saputo infondere al personaggio: il suo Luciano, rimasto scosso dall’uccisione del padre a cui ha assistito, decide di prendere le distanze da quel mondo di faide e morte, dedicandosi alla terra e agli animali. Il male salta una generazione, e non dimentica di infettare il figlio Leo, invasato e supportato dallo zio Luigi. Quando tutto precipita e muore nel mondo reale, Luciano esce dal suo di mondo e da semplice pastore diventa vendicatore di una terra, di una famiglia, di una generazione. Dice basta, a modo suo, a quella incomprensibile mattanza estirpando il male alla radice, anche se questo significa tagliare rami dal proprio albero famigliare.
Michela Conoscitore
Pugliese, classe 1985. Laureata in Lettere Moderne, con un master in giornalismo cartaceo e radiotelevisivo. Ha collaborato, nel settore Cultura e Società, in una redazione giornalistica della provincia di Foggia. Da sempre, esprime l’amore per la scrittura, raccontando storie e descrivendo avvenimenti. La semplicità è il suo principale obiettivo, che cerca di perseguire affinché, ciò che scrive, arrivi a tutti. Grande appassionata di cinema e serie TV, da due anni posta recensioni sul suo blog, Incursioni Cinemaniache. Ma non si ferma qui, perché il vero giornalista è un curioso a tutto tondo.