Moreno Pisto: di Bukowski ho pensato “anche questa è letteratura?”
Intevisto Moreno Pisto, giornalista e scrittore, che è appena uscito con Motorcycle Rockstar (Ultra), una raccolta di interviste pubblicate in questi anni per Riders. Ci facciamo una chiacchierata in chat, io con la mia lista di domandine preparate, che già dopo la quarta devo modificare. Ovviamente non risponde a mezza domanda come mi ero immaginata io, e quindi lo lascio scrivere a ruota libera. Meglio così, è più interessante. In questa sorta di stream of consciousness − diligentemente riordinato (o quasi) alla fine − Moreno mi racconta del suo libro, delle interviste, di una coltellata scampata, di grandi scrittori e personaggi popolari, il tutto con il ritmo incalzante e la franchezza che si avvertono leggendo i suoi articoli.
Hai collezionato molti nomi illustri del motociclismo, ce n’è uno tra tutti che ti ha messo più in soggezione?
Soggezione no. L’unico con cui sentivo tensione prima di intervistarlo è stato Valentino. Anche perché il suo entourage te la fa avvertire ’sta tensione… Valentino ha mille impegni, e vuole che tutto sia scalettato alla perfezione, quindi quando sta per arrivare tutti sono sull’attenti. E poi, va beh, c’è il discorso che pensi di essere lì che stai per intervistare una leggenda, una vera. Valentino dal punto di vista sportivo è immenso, si parlerà di lui anche tra 100 anni, non so come dire. E soprattutto sai che devi stanarlo, tirargli fuori roba che non ha detto prima e magari non dirà mai più.
Rimanendo in tema di interviste… Durante la tua carriera avrai incontrato un discreto numero di personaggi “singolari”. Un breve aneddoto dell’intervista più assurda?
Minchia. La prima con Iannone. Adesso è pilota ufficiale Ducati, ma quando l’ho intervistato la prima volta era in Moto2. Andammo a fare traversi con l’auto in zona Bocconi alle 11 di sera, con la gente che si affacciava dai balconi e ci infamava. Tutto scritto ovviamente. E il bello è che lui è uno che non ha mai voluto censurare niente anzi. Diceva “ io sono così”, e questo è un atteggiamento da vera rockstar. Se penso che adesso tutto, ogni dichiarazione e intervista, viene filtrato. Anche quelli che si reputano rockstar vere spesso sono vittime di uffici stampa che fanno di tutto per appiattirli, perché hanno paura di rovinare l’immagine. Ma per favore… Viva la verità e il coraggio.
Non è un caso allora che una delle interviste a Iannone sia finita in Motorcycle Rockstar. In quell’occasione l’hai seguito praticamente ovunque per una notte e una mattina. Passi sempre così tanto tempo con gli intervistati o è stato un caso eccezionale?
No, eccezione. Con Andrea ho un rapporto di amicizia, con un altro pilota non sarebbe stato possibile entrargli in casa, seguirlo in bagno mentre piscia o cose così… Infatti di lui ho messo entrambe le interviste. La seconda volta abbiamo fatto le 4 e la mattina dopo sono andato a svegliarlo a casa.
Hai lavorato per Panorama, Donna Moderna e Style, ora sei caporedattore di Riders. Hai sempre desiderato scrivere di motociclismo?
No, io sono interessato alle persone, alle loro storie, a capirle, a tirare fuori cose che non direbbero manco al loro migliore amico. Spesso ci sono riuscito e infatti altrettanto spesso è finita male, con gente che si è incazzata perché lì per lì mi vivevano come un amico e non immaginavano che avrei avuto il coraggio di scrivere tutto, o quasi tutto…
Il mondo del motomondiale e delle corse è uuna grande famiglia e come in ogni famiglia tutti parlano di tutti, le voci si alimentano ma nessuno va a chiedere conto.
Tipo: di Max Biaggi si era sempre detto che le sue storie con la Campbell o altre fossero una montatura per mascherare che fosse gay… Una palese minchiata. Ma io sono andato lì e gli ho chiesto: è vero o no?
E lui?
E lui mi ha risposto: “questa è la più grande cazzata che abbia mai sentito”. Quasi si alzava e andava via.
Le hai mai prese per un’intervista scomoda?
Una volta il padre di Melandri mi giurò una coltellata. Colin Edwards, altro pilota, s’incazzò di brutto e quando mi rivide mi disse che se mi avesse trovato nelle settimane successive mi avrebbe gambizzato. Solo che lo disse in texano e non capii niente, anzi ci risi. E poi l’addetta stampa mi disse: “ma hai capito cosa ti ha detto?”.
Quella a Edwards fu storica, parlava di sesso, rapporti anali, delle dimensioni del suo cazzo, masticando tabacco in hospitality. Meravigliosa.
Immagino, ti sarai divertito da matti. Cambiando argomento… da poco più di un anno, insieme a Ray Banhoff e Alberto Capra, hai avviato la Write and Roll Society, sito “dedicato alla cattiva scrittura”. Scrivete di cultura in modo spudorato, irriverente, senza filtri. Qual è il vostro intento?
Di fare ciò che ci piace. Di dirlo come ci piace dirlo. Non cadendo in quei meccanismi tipici da blogger che vogliono diventare amici di e scrivere cose che piace alla gente che piace… Spesso, sia a me sia a Write and Roll, ci accusano di essere estremi. Ma due cose: primo, è vero spesso andiamo a cercare personaggi estremi, ma perché sono i più interessanti. Secondo: se uno non è estremo non è detto che non sia interessante, ma deve emergere la sua sincerità.
Vedi Simoncelli, su Motorcycle Rockstar ce ne sono due a lui: non è volgare, non volevo per forza fargli dire roba pesante… Lui veniva fuori nella sua totale simpatia e ingenuità. Non conta l’esagerazione. Conta la verità. E, sia con le mie interviste sia con Write and Roll, questo è il filtro che ci imponiamo: la verità.
Il tuo percorso fino a oggi è stato tradizionale, quindi: scuola, università, iscrizione all’albo, giornalista… o ci sono stati incidenti di percorso e ripensamenti?
Ripensamenti tanti, incidenti no… Ma è naturale. Chi non li ha?
Ultima cosa: i tuoi punti di riferimento culturali…
A 16 anni ho conosciuto Bukowski e ho pensato “ma scusate anche questa è letteratura?” A me avevano insegnato altro. Se non l’avessi letto non avrei sentito il desiderio di scrivere. Posso dire che nella mia vita c’è un prima Bukowski e un dopo. Sicuramente Burroughs.
E Kerouac, che ha scritto la più grande poesia contemporanea:
Non usare il telefono.
La gente non è mai pronta ad ascoltarti.
Usa la poesia.
Ronaldo quando era all’Inter. Jerry Calà. Pietro Taricone, che disse “ l’amore a un certo punto diventa una questione sociale ”. Il monologo di Benigni sulla poesia in La tigre e la neve, strepitoso. Vasco e adesso Enzo Jannacci, un mito, uno che dice una frase e ti spalanca il vuoto in mezzo a mille altre che invece ti fanno ridere.
Vasco. Te lo stavo per chiedere, ci hai scritto anche un libro (Vasco per maestro, Sonzogno, 2011, ndr)
Ha fatto di quelle cose che se le facesse qualcuno adesso sarebbe bandito. Guarda Morgan, disse che fumava il crack e andò da Vespa a scusarsi. Vasco nell’82 si mise il microfono in tasca a Sanremo e andò via prima che la canzone finisse. Ti immagini se qualcuno lo facesse ora? Oppure, nei primi anni Ottanta, cantò: “è andata a casa con il negro la troia”. Solo i rapper dicono cose così pese, ma lo fanno per impostazione. Le rockstar non ci sono più, sono pochissime… Vasco, in quegli anni e anche ora, fa quello che gli pare. Punto. Le vere rockstar sono i motociclisti piuttosto, che rischiano, che si giocano tutto per una prestazione. Come fece Vasco a Sanremo, o i grandi autori nei propri libri. Come disse Serino: “Gli scrittori dovrebbero scrivere libri come se dovessero essere decapitati il giorno dopo”.
Federica Colantoni
Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.