Mia madre. Nanni Moretti, dialoghi con sé e l’alter ego
Si mette a nudo e poi si fa da parte. Nanni Moretti ha bisogno che qualcuno reciti Nanni Moretti per potersi guardare in faccia. Vedere l’immagine di sé in qualcun altro sembra necessario per riprendere quel confronto con se stesso iniziato con Il Caimano, quel dialogo con se stesso, mai interrotto. “Margherita, fai qualcosa di nuovo, di diverso. Dai, rompi almeno un tuo schema. Uno su duecento. Non riesci ogni tanto a lasciarti andare, a essere un po’ leggera? Dai.” Si rivolge a Margherita Buy, eppure Moretti parla con sé. Si provoca, si prende in giro, si scruta nello sguardo dell’attrice alla ricerca di se stesso, del regista, dell’attore, dell’uomo.
Mia madre è una riflessione profonda e sincera, tra rimandi autobiografici e suggestioni psicoanalitiche, di un Moretti più maturo che, tuttavia, non smette di farci ridere e piangere come solo i grandi maestri sanno fare. Un “film più personale” ammette il regista, che segue il tempo delle emozioni di Margherita e l’irrazionale linearità del pensiero. A maggio in concorso al Festival di Cannes, il film scritto da Moretti insieme a Francesco Piccolo e Valia Santella, commuove con sobrietà. Per la sensibilità e l’intensità, inoltre, di Margherita Buy, che dopo Habemus Papam ritorna a lavorare con il regista.
Margherita (Margherita Buy) sta girando un film impegnato sulla crisi economica italiana in cui si racconta lo scontro tra gli operai della fabbrica e la nuova proprietà americana che promette tagli e licenziamenti. Oltre alle difficoltà di girare un film politico, la regista deve anche tener testa ai capricci della star italo-americana (John Turturro), un attore in crisi, emblema di un cinema ben lontano dagli anni d’oro. Concentrata sul lavoro, la regista fa fatica a gestire anche la sua vita privata. Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico impostole per tradizione familiare, ha un amante, lasciato all’inizio delle riprese del film in cui è anche attore. Una vita dunque, solitaria e complicata su cui grava l’ombra della possibile morte della madre che la costringe a un doloroso confronto con se stessa e con il fratello Giovanni (Nanni Moretti), un ingegnere che si è messo in aspettativa dal lavoro per accudire la madre (Giulia Lazzarini) malata di cuore e ricoverata in ospedale.
Insegnava latino e greco al liceo Visconti di Roma la madre di Margherita come quella di Nanni Moretti. “Dopo la morte di mia madre − afferma il regista− attraverso le cose che dicevano i suoi ex alunni, ho avuto la sensazione che mi fosse sfuggito qualcosa di importante di lei, che loro, i suoi ex alunni, erano riusciti a cogliere e comunicarmi. Qualcosa di sostanziale”. Moretti regista scandaglia nella sua storia personale, Moretti attore, nelle vesti di Giovanni, indaga nei dubbi, rimorsi e difficoltà del rapporto tra genitori e figli. A volte scopriamo con rammarico di non aver conosciuto a fondo le persone a noi più care, di non aver goduto veramente di quelle persone che altri hanno capito meglio di noi. Mia madre ci restituisce l’intimità degli affetti nella loro veste quotidiana, l’autenticità di mondi privati in netto contrasto con la dimensione politica e pubblica del film di Margherita. Tuttavia la lotta degli operai, la crisi economica sembrano perdere colore rispetto alla vividezza dei sentimenti. E della sorte degli operai in fondo non interessa a nessuno. Lo scontro tra i poliziotti e i manifestanti all’inizio del film viene interrotto da un seccato stop della regista che lamenta la povertà della scena. “Ma tu stai con i poliziotti o con i manifestanti?” chiede Margherita. Domande che cadono nel silenzio, una mancanza di parole pregna di stanchezza, inadeguatezza.
Allora gli scontri sembrano improbabili, lo champagne sul set è finto. La realtà acquista la forma della finzione. “Riportami alla realtà” urla l’attore italo-americano dopo un’ennesima notte di ciak andati male. Ma qual è la realtà? Quella che Margherita cerca di raccontare nel suo film, senza troppa convinzione? Rari sono i momenti autentici, veri.
Quindi Moretti sembra chiedersi, di fronte a una realtà che spesso si confonde con la finzione, qual è il compito del cinema? Turturro si eccita nominando Rossellini, Fellini e Pasolini tra le vie di Roma la notte, ma in scena non ricorda il copione, sbaglia, rimane in silenzio. Margherita da anni ripete alle conferenze stampa il solito ritornello sul compito del cinema, ma si rende conto che le parole hanno perso di significato. Il cinema fatica a raccontare il presente politico e sociale.
I personaggi sono colti nel momento di esplosione della crisi, incapaci di portare avanti la farsa in cui si sentono costretti a recitare. Sono soli. Combattuti, divisi, messi a nudo, i personaggi trascinano nel loro quotidiano un senso di stanchezza, insoddisfazione, disorientamento. Ma non per questo si ripiegano su se stessi. Individuo e società, pubblico e privato, attore e regista: la dialettica del film si costruisce su binari paralleli. In questo senso Mia madre è considerato emblema del nostro tempo complesso e problematico.
Un paesaggio desolante e irrimediabilmente cupo che però, non rinuncia alla speranza.
Redazione
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