Loro 1, Sorrentino porta il Cav sul grande schermo ma non se stesso
di Benedetta Nucci, in Cinema, Film in uscita, del 2 Mag 2018, 09:23
È immorale giudicare un’opera tronca, perciò mi limito a un commento estemporaneo su Loro 1, prima parte del film di Paolo Sorrentino su vita e opere di Silvio Berlusconi, nelle sale dal 24 aprile. La seconda parte uscirà il 10 maggio.
Non mi nascondo: il timor sacro che nutro nei confronti del regista potrebbe offuscare la mia capacità di giudizio ed è anche per questo che non azzardo più di un commento. Avrei voluto celebrare Loro 1 come un prodigio, l’ennesimo miracolo di sensibilità, intelligenza e spirito acuto di osservazione girato da uno dei più brillanti e attenti cantori e critici della società italiana contemporanea. Non che il film sia del tutto a secco di questi elementi: è pur sempre Sorrentino. Ma c’è una stortura: forse è troppo Sorrentino e allo stesso tempo non abbastanza Sorrentino.
Un punto fermo nell’opera del regista è che i protagonisti dei suoi film siano personaggi consapevoli di essere tali: l’attore non finge di essere una persona, ma un personaggio che a sua volta finge di essere una persona. Per prendere a esempio uno dei più conosciuti, Toni Servillo non recita Jep Gambardella, ma Jep Gambardella che a sua volta recita la parte di se stesso: l’attore e il personaggio che l’attore interpreta seguono entrambi un copione, il primo perché un film funziona così, il secondo perché la vita, a sentire Sorrentino, funziona alla stessa maniera. Tutti recitano loro stessi, nel film, fuori dal film. Un gioco di scatole cinesi, immagini specchiate e finzioni che avrebbe potuto integrarsi benissimo al canovaccio di Loro 1: Silvio Berlusconi è l’illusionista, l’attore e il trasformista, il fagocitatore di immagini per eccellenza.
Forse sta qui il problema: la poetica sorrentiniana applicata a un personaggio che la eleva a potenza si risolve in un eccesso. E, per paradosso, anche in una carenza. Per prendere in prestito una battuta del film, “tutto non è abbastanza” ed è troppo allo stesso tempo. Sorrentino finisce nella sua stessa trappola e recita Sorrentino che impersona Sorrentino: è tutto, è troppo. Le scene patinate si sprecano, i virtuosismi, l’edonismo, la colonna sonora audace e perfetta (godibilissimo il sottofondo techno a uno dei discorsi più accorati del film, pronunciato da “Lui”, Silvio), e poi gli elementi di realismo magico quali il rinoceronte che passa al piccolo trotto per le vie di Roma o il camion dei rifiuti che fa un incidente ai Fori ed esplode una pioggia di spazzatura sulla grande bellezza – c’è tutto quel che fa la cifra stilistica del regista, ripetuto alla follia.
In sordina, però, è possibile avvertire la controparte del troppo sorrentiniano: il troppo poco. Manca qualcosa. L’immagine è ipertrofica rispetto al contenuto e a essa è affidato il ruolo di veicolare il messaggio del film, che, in questo modo, si invera: il messaggio è proprio che esista solo l’immagine e non il contenuto, non la verità, non la profondità – almeno, nell’ambito della società italiana di quegli anni. Eppure, se il film si allinea passivamente a questo principio, risulta più accomodante che critico e più descrittivo che analitico. Rischia di assecondare le leggi della società delle apparenze senza entrarvi in conflitto, ma, anzi, ascrivendosi a esse con un certo gusto per il macabro. Ne risulta un film vacuo, seppure non vuoto. Fatuo, seppure non futile.
Inutile dirlo, da Sorrentino è lecito pretendere molto più di così. È stato capace, in passato, di operare un vero e proprio golpe al sistema dell’immagine, proprio perché egli è membro illustre e riconosciuto della società delle apparenze: stando alle sue regole, osservandola dall’interno, è riuscito a spogliarla delle sue ipocrisie e poi a farla deflagrare ed eruttare tutta la spazzatura che contiene – un’immondizia che egli ha messo in scena in maniera esteticamente impeccabile, sempre, una poesia d’immondizia.
Sono di questo tenore le aspettative, tutte a carico di Loro 2. Non rimane che aspettare il 10 maggio e vedere se saranno disattese o meno. Io ho fede.
Benedetta Nucci
Benedetta Nucci è una studentessa di ventidue anni. Studia Editoria e Scrittura alla Sapienza. È entusiasta di tante cose, tra cui la letteratura, l’arte, la musica, il cinema e Roma.