L’intensità di Franco Arminio, camminare e osservare la vita
Franco Arminio non ci ha solo presentato “Cartoline dai morti” edito da Nottetempo, ma ci ha condotto con sapienti equilibrismi emozionali verso la vita. Con intensità ci porta vivi tra i vivi, si sofferma sul valore della parola e su quello della morte. Lega indissolubilmente i vivi, i morti e la parola quale testimonianza che non solo materializza, ma guarisce il lutto. Una manifestazione spiazzante quella di Arminio, lo spavento del momento estremo che ti coglie e allo stesso tempo si ripete come metodo curativo per i vivi.
Se percepissimo noi stessi come corpi che vivono nell’aria attraverso il tempo e compissimo un atto di umiltà e un passo indietro da viventi, torneremmo a essere intensi. Franco Arminio invita il pubblico a leggere una sua poesia traducendola nei dialetti degli spettatori presenti in sala. Riesce a far recitare in dialetto triggianese, catanese e in ligure/olandese. Attraverso questa esperienza ci percepiamo vivi tra i vivi, anche se si parla di morte, rappresentiamo la nostra territorialità e identità.
Arminio ricorda come nei suoi paesini (nasce a Bisaccia, in Irpinia D’Oriente), una volta si parlasse sempre di morti. Ora anche la morte sta morendo, si sta perdendo il ricordo del defunto tra i vivi. Persino il momento del trapasso viene “allontanato” dalle mura domestiche, si preferisce ricorrere a ricoveri dove assistere il malato nelle ultime ore di vita. Non si accompagna più il proprio caro fino alla fine, come si era soliti fare una volta, e persino i bambini vengono tenuti lontani dalla morte.
La morte è scandalosa, ricorda Franco Arminio, non è un evento facile da gestire, tantomeno abituarsi all’idea che questa sopraggiunga quando si stia “vivendo”, compiendo il proprio percorso e ci costringa ad abbandonare i propri cari. Il lutto non parlato tra i vivi, non rielaborato, ma trattenuto nei pensieri può far ammalare. Arminio ricorda di aver allestito una stanza del lutto durante il Festival “La luna e i calanchi” di Aliano. Perché parlare tra di noi dei nostri defunti allevia il dolore. “Il luogo diventa più dolce se ognuno porta la sua ferita, il suo segreto” dice Franco Arminio. Il poeta ci invita a rivalutare anche i cimiteri come luogo dove si possono compiere due gesti estremamente terapeutici: camminare e guardare.
Franco Arminio vorrebbe tornasse un nuovo umanesimo che rimetta l’uomo al centro. Stiamo invece assistendo alla morte dell’umanità e dell’umano, maschile e femminile, che in questo suicidio sta trascinando anche il mondo. Le “Cartoline dai morti” recitate da Arminio portano l’intensità della vita nella sala, le emozioni, la festosità e il valore del vissuto. L’incontro termina con la gara di canto che il poeta sta portando in tour nelle sue 176 presentazioni. Cantiamo “Azzurro” conquistando un ottimo 50° posto, guadagniamo ben venti posizioni grazie alla canzone “Mami” cantata in milanese da una signora presente e chiudiamo in bellezza con un dodicesimo posto con “Oh bella ciao”, cantata in piedi e con partecipazione dai presenti.
Franco Arminio è riuscito nella sua premessa dell’inizio: farci vivere tra i vivi parlando di morte.
Il 13 maggio alle 17:45 all’interno del “Festival Internazionale di Poesia” che si terrà a Milano il 12 e 13 maggio al Mudec, avrete l’occasione di incontrare nuovamente Franco Arminio e come sempre sarà un’esperienza emozionante.