L’apocalisse mancata. L’industria musicale dopo Napster

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Nel luglio del 2000 si verificò uno degli avvenimenti più improbabili nella storia del senato americano: Lars Ulrich, batterista dei Metallica, prese la parola per esprimere le preoccupazioni della band su un fenomeno in forte crescita nei dodici mesi precedenti, Napster. Nel suo intervento Ulrich dipingeva un cupo futuro per l’industria discografica. A suo parere Napster metteva in pericolo i posti di lavoro di migliaia di persone all’interno delle case discografiche e immaginava un appiattimento della produzione musicale con la diminuzione del numero di artisti a causa dei mancati introiti dovuto al download illegale di musica. A distanza di quindici anni, possiamo dire con certezza che le previsioni più catastrofiche di Ulrich non si sono realizzate, ma come è cambiata la produzione e il consumo di musica in questi anni?

Il contraccolpo economico della condivisione di file musicali è stato forte per le etichette discografiche: secondo la RIAA (Recording Industry Association of America) la perdita dei produttori è stata di circa il 75% degli introiti, una situazione resa nota negli anni precedenti dai rapporti delle case discografiche stesse. Tuttavia, la produzione musicale non è diminuita, anzi, il numero di artisti capaci di autosostenersi è aumentato. Il grande cambiamento si osserva nel modo in cui ascoltiamo musica. La riproduzione digitale ha preso il sopravvento, non solo attraverso vie illegali, grazie a servizi come iTunes, Spotify, e Youtube. Gli introiti dovuti alle royalties sono calati in modo vertiginoso, rendendo impossibile sostenersi solo con le vendite, e si è reso necessario un assestamento. In particolare, si è cominciato a porre una maggiore attenzione ai concerti. Era una evoluzione prevedibile, conseguenza di una delle principale regole dell’economia: quando una certa merce (la registrazione) è in eccesso il suo costo diminuisce, mentre una merce meno diffusa (la possibilità di vedere un artista dal vivo) aumenta di valore. Negli anni ’80 e ’90 il concerto aveva un ruolo promozionale, pensato per sponsorizzare la vendita dei dischi, oggi avviene l’esatto contrario: il concerto è la fonte di guadagno della band, il nuovo album è lo strumento per promuoverlo, e la maggior parte dei guadagni degli artisti deriva dalle loro performance live.

Questo cambiamento, unito al miglioramento delle tecnologie e alla diminuzione dei costi di produzione e registrazione, è sufficiente a spiegare il rifiorire della autoproduzione musicale. In questi anni si sono formate nuove voci e nuove tendenze musicali a livello internazionale, garantendo una varietà dell’offerta mai vista in passato. La produzione indipendente di musica è sempre stata una solida realtà, ma le nuove tecnologie l’hanno trasformata in un’attività remunerativa. Anche per questo oggi viviamo in una resurrezione della musica indie, un fenomeno cominciato negli anni ’70 ma mai veramente globale fino all’arrivo di internet e delle tecnologie moderne.

Inoltre, il web ha creato nuove possibilità di finanziamento per gli artisti, tramite il crowdfunding, come Kickstarter. E questo sistema sembra essere già superato da altre piattaforme come Patreon, che permette di supportare economicamente gli artisti in qualsiasi momento, senza la necessità di creare un progetto ad hoc o di raggiungere obiettivi economici nella raccolta fondi.

In conclusione, quello che Napster ha iniziato è un processo che ha riavvicinato gli artisti ai consumatori mettendo in crisi gli intermediari del processo creativo, senza però danneggiare la creatività e la produzione artistica. Internet ha modificato il modo di consumare anche altre forme di cultura, soprattutto in campo televisivo, editoriale e cinematografico, ma il cambiamento non è stato totale come in ambito musicale. Visti i precedenti, è però lecito attendersi rivoluzioni altrettanto radicali in questi ambiti, alcune già in corso, come la nascita dei servizi di streaming a pagamento. L’ideale di Napster, una diffusione più egalitaria dei contenuti culturali, sembra diffondersi come un virus nell’industria culturale, e i benefici sono evidenti per artisti e consumatori, anche se i primi faticano ancora ad arrivare a fine mese e si dovrebbero fare sforzi maggiori per garantire loro una sicurezza economica. Ma la direzione intrapresa rimane quella giusta. Amazon permettendo.

Redazione

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