La solidarietà degli altri
Qualche giorno fa discutevo con una cara amica. L’argomento era uno di quelli che non riesci mai a circoscrivere, non era un argomento semplice e non era un argomento al quale si riescono a mettere limiti precisi. Ma visto che le imprese difficili mi affascinano, provo in qualche modo a riportarlo qui,
Con la mia amica ci si interrogava sulla scomparsa dell’etica del sociale, della rarefazione di quei comportamenti umani che per noi cinquantenni (e qualche mese. Anzi, e tanti mesi. Vabbe’, per noi ultracinquantenni) fanno parte della formazione dell’individuo. Ci chiedevamo come mai, sempre più spesso, si vedono e si sentono comportamenti e discorsi che giustificano e sono improntati sull’egoismo, sull’opportunismo.
Fateci caso, non è qualcosa che sia stato sdoganato, non è che improvvisamente i libri di testo e i media abbiano iniziato a invitare al menefreghismo o al disinteresse, ma nonostante questo, nonostante anzi sia stata istituzionalizzata e statalizzata l’educazione, quelli che per noi erano concetti e precetti di piccola educazione basilare, sono per le nuove generazioni (e non intendo solo i ventenni o meno, basta scendere di una decina di anni rispetto ai miei cinquanta) un comportamento quasi anomalo. Spesso quando mi si sente dire “buongiorno” a tutte le persone che incontro, anche se la cosa succede nei corridoi dell’ufficio dove di persone se ne incontrano tantissime, qualcuno mi guarda come stupito di aver ricevuto un saluto. La cosa si fa ancora più strana entrando in un ascensore, quando a me sembra sinceramente folle condividere i due minuti scarsi di salita e discesa fingendo di ignorarsi.
Però così è, questo avviene. Si entra (loro, entrano) a testa bassa, fingendo o neanche facendolo, di parlare al telefono, si cerca (loro, cercano) di mettersi in posizioni oblique che non obblighino al confronto con gli occhi dell’altro, si evita anche solo di sorridere.
Badate che questa è una banalità, questo NON è il problema. Questa piccolezza è come quella lucina rossa che si accende sul cruscotto per avvisarvi “Sta per finire la benzina” o “C’è poco olio motore”. Il problema non è la lucina, il problema è la mancanza di benzina o di olio, che rischia di farvi fondere. La mancanza di cose minime come il saluto e il sorriso, la piccola cortesia di tenere aperto un portone quando si vede arrivare qualcuno, o di cedere il posto a un anziano in qualsiasi occasione, non sono gravi in assoluto. Ma chi non fa queste piccolezze, non so perché, mi viene da pensare che poi non farà neanche le cose più importanti, oppure farà cose brutte (il che, volendo, è anche peggio).
Chi non fa queste cose, mi viene da pensare – ma magari, spero, sbaglio – sarà quello che proverà a passarti davanti nelle varie file, sarà quello che si sistemerà le sue cose e non si interesserà come tu potrai sistemare le tue. Sarà quello che parcheggerà in doppia fila, anche solo per dieci minuti, o sulle strisce o sul marciapiede. Sarà quello che “basta che sto bene io, anzi, non basta, è tutto.”
Forse sono pieno di preconcetti, o magari – riprendendo un tema che mi è caro – sono solo un vecchio borbottone. Ma io ho la sensazione che questa ineducazione, personale, etica e sociale, questa deriva barbarica, sia arrivata nel momento in cui abbiamo, per pigrizia e convenienza, abdicato a un ruolo educativo familiare. Nel momento in cui, paradossalmente, si sia istituzionalizzato e statalizzato un compito che avevamo in casa; quello di impegnarci – con fatica – a educare i figli dando loro la lezione più importante. Quella dell’esempio.
Ecco, vedete? Non mi limito ad accusare gli altri di errori e omissioni, passo dal “voi” al “noi”.
Siamo tutti figli di una società e di nuclei familiari che hanno perso di vista l’obiettivo primario, quello di creare generazioni migliori di quella che sono stata loro. Ovvero, abbiamo interpretato come “miglioramento” cose come il titolo di studio, la ricchezza economica e le comodità. Abbiamo creato generazioni più ricche e più sane fisicamente. Ma la sensazione – magari, spero, sbaglio – è che siano anche fondamentalmente più egoiste, arroganti e maleducate di come eravamo noi.
Un altro esempio? La solidarietà e la generosità. Qualche giorno fa ho proposto ai miei vicini di casa di lasciare aperto il portone di notte, perché almeno, nel caso in cui avesse fatto molto freddo, qualcuno che avesse avuto bisogno di ripararsi potesse farlo.
Immaginate la reazione? Sì, credo di sì. Ai senzatetto ci deve pensare lo stato, il comune, la Caritas, la parrocchia, qualcun altro, chiunque altro, mica noi! Neanche nell’androne del palazzo!
La lezione che ne ho ricavato? Che ogni volta che si delega qualcuno a fare qualcosa al posto nostro, automaticamente atrofizziamo la nostra capacità di fare quella stessa cosa, che rimane bella, giusta, sana. Basta che la faccia qualcun altro al posto nostro.
Che si tratti di educare, che si tratti di insegnare, che si tratti di assistere chi ha bisogno, va bene tutto. Purché lo faccia qualcun altro.
Parafrasando un vecchio – e molto volgare – detto romanesco. So’ tutti generosi, con la solidarietà degli altri.
Marco Proietti Mancini
Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.