La “nuova” Rai e il modello Netflix, ma attenti a non farsi male
Tutto bello e tutto giusto. Forse. La “nuova” Rai procede a colpi di assunzioni dall’esterno. Campo Dall’Orto, dopo Verdelli, ha portato in Rai anche Francesco Merlo di Repubblica. Ennesimo rinforzo di un giornalista proveniente dalla carta stampata, per giunta in pensione. Bene, anzi benissimo. Resta da capire quale sia il piano editoriale, quello di Verdelli – altro ottimo giornalista proveniente dalla carta stampata – alla luce di queste ultime mosse. L’offerta Rai sull’informazione, sulla carta ricchissima, si regge su vecchie ma solide corazzate (vedi il Tg1 delle ore 20) su cui la politica litiga in modo forsennato per accaparrarsi uno spazio anche di dieci secondi. Perché il modello è vecchio, ma regge. A proposito di “vecchio”: gli ascolti della riedizione del “Rischiatutto” di Mike Bongiorno riproposto da Fabio Fazio dimostrano ancora una volta che in Rai vince la tradizione. Il programma, con scaletta prevedibile e nemmeno particolarmente “ritmata”, ha raccolto il 30,7% di share e inchiodato sette milioni e mezzo di italiani davanti alla tv!
Si diceva dell’offerta sull’informazione. Il piano industriale appena annunciato va piuttosto in controtendenza col resto del mondo della tv. Meno canali e meno telegiornali, proprio nel momento in cui i canali proliferano, come proliferano i contenuti (cfr. canali Sky). Ora, che la Rai si prepari a rinunciare ad almeno uno dei suoi, pare saranno addirittura due, non si capisce perché dovrebbe essere celebrata come una cosa positiva, quando non lo è. Chiudere canali è una sconfitta. Il primo sarà uno dei due canali di Rai Sport: con il potenziale di fidelizzazione del calcio (e dello sport in genere) ci si riduce a un solo canale?! L’unica spiegazione plausibile è che manchino a oggi le risorse per sostenerne due. Ammetterlo sarebbe quantomeno onesto. Il secondo canale a chiudere, o meglio, a migrare sul web sarà Rai Scuola. Per la verità nessuno ne sentirà la mancanza dati gli ascolti pressoché inesistenti e l’assenza di un piano editoriale. Anche in questo caso peccato, perché la Rai avrebbe eccome le risorse – a livello autoriale senza dubbio – per alimentare in modo efficace un canale tematico di quel tipo.
I telegiornali pare che andranno ad “asciugarsi”. Dovranno durare meno, mentre finalmente pare che ci sia l’idea di rafforzare Rainews24. Il settore all-news in Italia purtroppo resta ancora un oggetto quasi sconosciuto. La “timidezza” con cui si utilizza la straordinaria struttura della Tgr è, ad esempio, una prova del fatto che la Rai spesso procede col freno a mano tirato, quasi ci fosse la paura di dimostrare quante risorse e quante competenze – invero – sono presenti in azienda.
Si punta anche a internet, con un canale sul genere di Netflix, perché non sia mai detto che Campo Dall’Orto “l’innovatore” non lanci qualcosa sulla rete. Bene, anzi sacrosanto. A patto che i contenuti siano di pari livello a quelli pubblicati dal canale americano. Le piattaforme online, con tutto il rispetto, non sono fatte per le “grandi fiction” targate Rai, per cui va bene la rete ma qualcuno pensi anche ai contenuti. Le poche, pochissime, sperimentazioni in tema di (web)serialità – alla “Zio Gianni” e “Una mamma imperfetta” – hanno assai poco a che vedere con “House of Cards” e produzioni del genere. È proprio diverso il pubblico. Dunque potrebbe risultare pericoloso sbarcare su un pianeta sconosciuto senza avere la tecnologia necessaria per sopravvivere. Il rischio è, appunto, non sopravvivere.
Gennaro Pesante
Gennaro Pesante, nato a Manfredonia nel 1974. Giornalista professionista, vive a Roma dove lavora come responsabile dei canali satellitare e youtube, e come addetto stampa, presso la Camera dei deputati.