“La memoria degli alberi” alla Galleria del Cembalo di Roma
Gli alberi di gelso fanno la guardia, sono testimoni e raccontano i gravissimi fatti del genocidio armeno, svoltosi tra il 189a ed il 1899 ma, soprattutto, in una seconda fase molto più violenta tra il 1915 ed il 1916. Kathryn Cook, fotografa statunitense ci racconta questi fatti nelle foto della mostra La memoria degli alberi, curata da Annalisa D’Angelo, visitabile fino al 27 giugno presso la Galleria del Cembalo di Roma, sita nel Palazzo Borghese in Largo della Fontanella di Borghese, 19.
Le foto toccano l’anima, sembrano riportarci a quei momenti. Tutto sembra bloccato nel tempo. Le fotografie esprimono soprattutto solitudine, come quella di un albero nella campagna di Erzerum in Turchia, che possiamo ammirare nell’immagine messa in evidenza; paesaggio che faceva parte dei luoghi che s’attraversavano durante i viaggi di deportazione. Stando alle testimonianze oculari, i sopravvissuti furono pochissimi.
Momenti di pura commozione li procura l’immagine di una bambina che si trova su di una scala distrutta della chiesa armena Surp Giragos a Dyarbakir, Turchia, che venne poi ricostruita con il sostegno del comune. In questo territorio a sud-est della Turchia abitava una numerosa comunità armena. Viene da chiedersi se riuscirà mai a scendere da quella scala e se ritornerà mai alla vita normale. Sentimenti di grande tristezza e solitudine li provocano le immagini di un cortile di una casa armena distrutta a Gaziantep, ripreso attraverso un buco, come a volerne spiare i segreti, e la veduta notturna da un treno in corsa tra Adana ed Istanbul (la maggior parte dei campi di detenzione si svilupparono lungo questa ferrovia, che collega Konya ad Adana). Lo scatto coglie l’attimo ed allo stesso tempo è sinonimo d’instabilità e d‘incertezza; sensazioni che descrivono bene la vità dei deportati armeni.
Le foto più cupe sono quelle che rappresentano il Mar Nero, luogo che vide la morte di molti armeni. Infatti molte persone venivano messe di notte su delle barche e fatte morire annegate in queste acque.
Nella seconda sala abbiamo, tra le altre, un’immagine di un bambino che gioca da solo nel campo di Sancak (Sanjak), ex campo profughi armeno nel quartiere Bourj Hammoud di Beirut, un quartiere molto povero. Il campo ora è stato demolito per costruirci sopra un nuovo condominio ed un centro commerciale. L’angoscia traspare anche dall’immagine di un cavallo solitario al pascolo in un campo fuori Arapgir in Turchia, nella Provincia di Malatya nel sud-est della Turchia. La città di Arapgir aveva una fiorente comunità armena. In una foto appare la mano di un visitatore, chiaramente disperato, che tocca le croci incise dai pellegrini sulle mura delle sezione armena della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Le foto fanno rivivere quest’evento atroce e lo fanno conoscere a chi, per fortuna, non l’ha sperimentato sulla propria pelle.
Potete trovare qui la photo gallery della mostra.
Marco Rossi
Tribuna Italia
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