La lezione di Tempo di libri: senza l’editoria indipendente muore la cultura italiana
Da Tempo di libri, la nuova fiera del libro di Milano, emerge una certezza: la cultura italiana non può fare a meno delle case editrici indipendenti. Nonostante sabato e domenica l’affluenza sia stata buona, nei primi tre giorni di fiera il pubblico è stato pochissimo.
Una motivazione è senz’altro la scelta infelice delle date (tra Pasqua e il ponte del 25 aprile) ma, se vogliamo fare un’analisi più approfondita, la causa principale è la mentalità per cui si pensa sia sufficiente avere ospiti noti (il secondo giorno per esempio c’era Philippe Daverio che camminava praticamente solo per la fiera, il primo giorno ad ascoltare Saviano c’erano una quarantina di persone), una cospicua rassegna stampa e le grande case editrici per fare una fiera del libro di successo. Senza comprendere che un evento del genere non lo fanno 20 grandi editori e 50 stand istituzionali ma 500 editori indipendenti.
Certo, si tratta di una prima edizione, ma gli errori sono stati molteplici e non ammissibili per una fiera che per gli editori è la più cara d’Italia, anche perché la tendenza complessiva è stato un incasso inferiore a più del 50% rispetto Torino.
Al tempo stesso non ha premiato la volontà di andare a scontro con il Salone del libro dando vita a un vero e proprio boicottaggio da parte di una fetta consistente degli editori.
Sono anche mancate piccole accortezze che assumono una diversa valenza se rapportate al flop di pubblico nei primi giorni, un esempio? Gli editori non avevano biglietti omaggio, tutti i nostri autori hanno dovuto pagare l’ingresso.
Altra perplessità la location: era davvero necessario organizzare l’evento a Rho per poi occupare solo due padiglioni? Non sarebbe stato più logico farlo alla fiera Milanocity più vicina al centro città e più facilmente raggiungibile? Un visitatore per arrivare in fiera doveva spendere 5 euro di metropolitana e 10 di di ingresso.
Indubbiamente ci sono stati anche aspetti positivi: ottimi allestimenti, buona disposizione degli spazi, corridoi larghi, sicuramente una bella fiera da visitare.
Le prospettive per far diventare Tempo di libri un appuntamento centrale per l’editoria italiana ci sono tutte ma è necessario ripensare l’evento con un maggior coinvolgimento degli editori indipendenti superando fratture, polemiche e divisioni che in un paese con quasi il 60% di non lettori sono solo dannose.