La Buona Scuola e il fantasma di Gentile
Sono arrivati i primi sì della Camera al Ddl per la riforma della scuola pubblica presentato dal governo Renzi. Ddl che come è noto è stato preceduto da lunghe polemiche, scioperi e proteste di piazza, ma anche da una consultazione online che è durata due mesi e alla quale sono stati chiamati a partecipare tutti i cittadini italiani.
Dopo le accese contestazioni al disegno di legge della Buona Scuola, le parti si sono riavvicinate al tavolo delle trattative e ieri in serata i deputati hanno approvato i primi sette articoli della riforma a cui sono state apportate importanti modifiche rispetto al disegno originale. Modifiche che lasciano comunque ancora insoddisfatti i sindacati, che minacciano nuovi scioperi a giugno.
L’esame del provvedimento riprenderà Lunedi, quando si affronteranno i temi più spinosi della riforma ossia i maggiori poteri decisionali e amministrativi affidati al dirigente scolastico. Nel complesso La Buona Scuola ha una pars construens notevole, che è riuscita ad allestire una solida difesa contro la pars destruens operata dal sistema mediatico poco informato, ma soprattutto poco informativo.
Il punto principale, funzionale all’intero disegno della riforma che dovrebbe cambiare la vita di studenti, famiglie e professori, è sicuramente il piano volto ad eliminare le graduatorie ad esaurimento con 100mila assunzioni a tempo indeterminato. Spariranno quindi i supplenti e le famigerate ore di buco saranno coperte dal personale organico del singolo istituto o delle reti di scuole già oggi in costruzione. Un miliardo di euro è invece destinato all’edilizia scolastica: pochi spiccioli rispetto alla fatiscenza di quasi tutti gli edifici scolastici italiani.
Altro elemento di novità introdotto dal decreto è il sistema di valutazione e di riconoscimento del merito per i professori, che costituirà il 30% degli incentivi per gli scatti d’anzianità. Su questo punto si concentrano le rimostranze degli insegnanti, che rispolverano la logora e stanca bandiera della libertà dell’insegnamento della scuola repubblicana, senza però riuscire a non passare per coloro che chiedono cambiamenti ma non vogliono cambiare. Riformisti sì, ma del lavoro degli altri.
Il disegno di legge, come altri in passato, prevede il rafforzamento dell’insegnamento di musica, arte, educazione motoria, informatica e lingue straniere, ma prevede soprattutto un maggiore controllo della professionalità dei professori spesso messa in discussione dagli studenti. Per questo motivo la formazione sarà strutturale, continua e obbligatoria per tutto il corpo insegnanti.
Un capitolo a parte è dedicato invece all’implementazione dell’autonomia della scuola teorizzata già negli anni ’80 da Berlinguer, ripresa in maniera goffa dalla destra durante i primi anni 2000 e ora reinterpretata dalla Buona Scuola di Renzi che prevede la possibilità per le famiglie di donare il 5xmille al singolo istituto.
Come già detto la riforma del governo Renzi sembra più costruire che distruggere, eppure viene avversata dal popolo della scuola, tradizionalmente di sinistra e progressista. Da destra invece si denunciano le concessioni fatte dall’esecutivo alle recriminazioni dei sindacati.
La verità vera è che smontare l’impalcatura crocian-gentiliana della scuola pubblica italiana è un’operazione quasi impossibile, una lotta contro i mulini a vento, che fa si che chiunque ci provi, risulti ridicolo ed illuso.
Un’impalcatura che si conserva non tanto nell’organizzazione, ma nel concetto di una scuola fondata su una pedagogia neoidealista, che isola il microcosmo scolastico in una dimensione uterina, protetta e infinitamente lontana dalle inquietanti istanze dell’universo mondo.
E così ad ogni nuovo tentativo di riforma ci sembra sempre di provare ad incastrare due pezzi di un puzzle che in origine non sono stati pensati per stare insieme: il mondo della scuola e il mondo del lavoro, separati da milioni di anni luce.
Ogni cinque anni circa sforniamo un nuovo Ddl, una nuova versione degradata di quella scuola idealista ed elitista di Croce e Gentile, che nessuno ha il coraggio né di abbracciare radicalmente né di superare una volta per tutte.
E se a onor del vero bisogna dire che La Buona Scuola introduce 200 ore di tirocinio obbligatorio anche per i licei, è doveroso anche riconoscere come questo appaia un nuovo goffo tentativo pratico di risolvere un problema che è invece concettuale, che riguarda cioè l’idea di Scuola che si vuole costruire.
E mente nel resto d’Europa il mondo scolastico e il mondo del lavoro sono due tappe dello stesso percorso, in Italia l’istruzione pubblica rimane fine a se stessa, un’isola di cultura cieca, dalla quale quando si esce (sia dalle superiori sia dall’università) non si sa da che parte iniziare a costruire il proprio futuro.
Un isolamento voluto, quello della scuola italiana, dietro la quale si barricano gli intessi di sindacati che hanno ormai raggiunto il punto più infimo del loro operato, di politici che sfruttano qualsiasi iniziativa del governo di turno in carica per portare avanti un’opposizione disperata, la cui forma (esasperata) pretende di sostituire i contenuti (assenti), gli interessi di insegnanti che a partire dal secondo dopoguerra hanno assistito immobili al declino della loro funzione, arroccandosi negli ultimi venti anni dietro la protesta anti berlusconiana pur di non mettere in discussione le modalità fallimentari del loro operato.
E così dietro ogni riforma, ogni sciopero e ogni blocco degli scrutini ci sembra di intravedere contro luce la sagoma di Gentile che sorride sornione ed immortale.
Francesco Frisone
Francesco Frisone, nato nel 1994 a Roma. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Pavia, è allievo IUSS e alunno dell’Almo Collegio Borromeo. Ha frequentato la London School of Journalism nell’estate 2014 e ha lavorato per l’Ufficio del Sindaco Depaoli a Pavia nel 2015. Si interessa di media, politica e campagne elettorali.