La biblioteca pubblica, imprescindibile “centro” della città
Non mancano, un po’ ovunque, scritti d’ogni sorta che mettano in luce l’importanza delle biblioteche – inutile che ve lo dica. Tuttavia, in un paese come il nostro che ha un disperato e sempre più pressante bisogno di cultura, credo che il valore, la presenza e l’essenza delle biblioteche pubbliche debbano essere potentemente rinnovate se non ripensate. Credo che la biblioteca, in una città, debba conseguire la stessa importanza pubblica del municipio, della piazza centrale, della chiesa per chi crede o degli altri palazzi fondamentali del potere, quelli che della città rappresentano il centro effettivo, quelli attraverso cui passa la vita della città stessa e nei quali si determina la sua quotidianità. Perché la cultura è potere, bisogna tornare a essere ben consapevoli di ciò, anche a discapito di quel “potere” (politico) che invece, conscio della cosa e infastidito da essa, ha cercato e sta cercando di sminuirne la portata.
“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.” ha scritto Marguerite Yourcenar. È vero: quando la vita delle comunità sociali era basata molto più sulle cose necessarie piuttosto che su quelle consumisticamente superflue, come oggi, più che i palazzi del potere, le chiese, le caserme o quant’altro di affine, erano i granai i luoghi fondamentali per la vita quotidiana della gente. Perché dal signore democratico così come da quello dispotico si poteva cercare di vivere bene ovvero di sopravvivere, ma senza cibo non si campava, ovvio, né allora né oggi. Ora che di cibo ne abbiamo in sovrabbondanza, è invece il nutrimento per la mente a mancare in modo sempre più drammatico: ecco perché c’è necessità assoluta di (ri)costruire i granai pubblici citati da Yourcenar, per ammassarvi riserve culturali a disposizione di chiunque, in ogni momento e con qualsiasi quantità.
La biblioteca, dunque, deve tornare a essere uno dei centri nevralgici, in senso culturale, sociale ma se possibile pure urbano, della città. Quando scrivo che la sua funzione contemporanea debba essere rinnovata se non ripensata, non intendo certo dire che, in ciò che è stata fino a oggi, ci sia qualcosa che non va. Anzi, meno male che è stata così fino a oggi, la biblioteca pubblica, in molti luoghi unico contesto culturale – insieme alle librerie indipendenti – a far da baluardo contro l’invasione soffocante dei non luoghi del capitalismo consumistico contemporaneo, i quali peraltro stanno pure deprimendo in modo letale l’identità propria delle nostre città, facendo diventare gli stessi loro centri dei non luoghi sostanziali – e la cosa è ancora più drammatica qui da noi, in Italia, dove ogni centro città è un piccolo/grande tesoro, praticamente ovunque.
Tuttavia, appunto, credo sia necessario far tornare la biblioteca un luogo dal quale scorre la vita della città e della gente che la abita, trasformandola nel fondamentale centro culturale cittadino: un luogo fatto di libri e di cultura letteraria ma non solo, anche un contesto aperto a qualsivoglia espressività culturale, artistica, mediatica, che vi faccia da palcoscenico oltre che da coordinamento, che accentri in sé quanto più possibile le iniziative pubbliche in tal senso, che ri-diventi un luogo di incontro pubblico tale e quale alla piazza centrale della città, un posto in cui trovarsi, starsene a chiacchierare, rilassarsi, sempre e comunque circondati dai libri, dalla cultura e da qualsiasi elemento ad essi assimilabile. Ciò a cui sto pensando sono i centri culturali di tipica ispirazione e realizzazione nordeuropea: veri e propri fulcri della vita culturale delle grandi città e dei piccoli paesi, luoghi iconici – spesso anche architettonicamente – la cui presenza sia intesa dai residenti come inevitabile e indispensabile, esattamente come si trattasse della cattedrale cittadina o del municipio, senza i quali il concetto stesso di “città” perderebbe molto del suo senso ordinario. In breve, la biblioteca pubblica dovrebbe diventare un luogo talmente inclusivo e interattivo coi propri utenti da rendere palese, e inevitabile, la percezione del bisogno che si deve avere di essa. Bisogno necessario, appunto, tanto quanto bisogno voluto, ricercato, preteso.
“Sì, ok, ma servono soldi!” qualcuno di voi dirà. Vero, innegabile, ma anche no. Servono semmai, in primis, una rinnovata e finalmente costante attenzione da parte delle istituzioni, dunque delle altrettanto rinnovate strategie di valorizzazione di quanto si ha a disposizione – strategie che comportino anche azioni di marketing, di pubbliche relazioni, di pubblica curatela culturale, per così dire, il tutto sempre condiviso con gli utenti. Cose che, a dire il vero, ogni luogo culturale di proprietà collettiva (ancor più di quelli privati) dovrebbe poter e saper mettere in atto, e sovente se non le si fa è soltanto per quel diffuso e letale lassismo istituzionale che pervade molte parti della società civile nostrana – il quale, si badi bene, è sovente fonte di sprechi economici e dissesti finanziari! Siamo certi che, già razionalizzando e “strategicizzando” le risorse economiche a disposizione, non si potrebbe già fare molto più di quanto si fa, senza alcun bisogno di ulteriori stanziamenti di soldi pubblici? Ecco, appunto.
Al solito, quel mare che tanti vedono tra il dire e il fare è in verità un piccolo ruscello tranquillamente guadabile, se solo si ha la volontà di farlo. Ed è bene che la si trovi alla svelta, tale volontà: l’inverno dello spirito – per usare ancora le parole di Marguerite Yourcenar – qui noi ce l’abbiamo appena dietro l’angolo, ormai. E, nel caso, non sarà solo una brutta stagione per lo spirito ma per ogni cosa, se non sapremo finalmente tornare a costruire la nostra società e la comune vita quotidiana che in essa svolgiamo su una solida e ineluttabile base culturale. Che abbiamo lì, bell’e pronta in centro alle nostre città: da riportare in centro anche al nostro futuro, prima possibile.