“La bassa professionalità del giornalismo crea il Citizen Journalism”, intervista a Sergio Splendore
Qualche giorno fa avevamo parlato di citizen journalism, ossia della partecipazione dei cittadini al processo di raccolta, produzione e distribuzione delle news, e avevamo riflettuto sulla tela di rapporti che questo nuovo modo di fare informazione sta intessendo con i media tradizionali. Ho voluto approfondire la questione con un intervista a Sergio Splendore, docente di Sociologia della Comunicazione all’Università degli Studi di Milano e autore di numerosi studi e ricerche sul giornalismo e sulle attuali mutazioni di questa attività, fondamentale nella costruzione di ciò che viene considerato reale e importante.
Se un individuo guida una macchina, non per questo è un pilota. Perché se si possiede uno smartphone e una connessione ad internet ci si crede giornalisti? Che risvolti etici implica il citizen journalism per la professione del giornalista?
È innanzitutto necessario fare una distinzione importante. In letteratura si distingue il citizen journalism vero e proprio dal giornalismo partecipativo. Se il secondo corrisponde ad un’attività della cittadinanza spesso inconsapevole e disparata, per esempio postare su Twitter le fotografie di un’alluvione, il citizen journalism è più strutturato e prevede un lavoro redazionale più consapevole e mirato. Fatta questa distinzione, è sempre necessario utilizzare con cautela la parola etica. Il giornalismo partecipativo implica ovviamente dei risvolti deontologici per la professione del giornalista. Quali fonti utilizzare, come reputarle affidabili e talvolta chiedersi anche se è lecito utilizzarle. Il giornalista è sempre più, rispetto al passato, un selezionatore di contenuti. Per quanto riguarda il citizen journalism, invece, è possibile pensare il suo rapporto con il giornalismo tradizionale come un gioco a somma zero, legato al grado di professionalità. La bassa professionalizzazione del giornalismo va a tutto vantaggio del citizen journalism.
Quindi Lei propone un rovesciamento di prospettiva? In pratica, non è il citizen journalism che diminuisce la professionalità del giornalista, ma è la stessa bassa professionalità del giornalista che dà luogo al citizen journalism?
Esattamente. Faccio un esempio. Il ruolo socialmente riconosciuto dei medici è quello di curare i malati, quello dei giornalisti è di raccontare la verità. Ti faresti mai curare da un medico che non abbia studiato medicina? Eppure spesso ci si fa raccontare la verità da chi non ha abbastanza professionalità per farlo. Questa scarsa professionalizzazione dei giornalisti ha prodotto in Italia forme ibride di informazione, per le quali i programmi di satira si sostituiscono all’informazione. Si pensi a Striscia la notizia. Se i giornalisti sono professionalizzati, ciò rende il giornalismo più forte e sicuro della sua attività di racconto della verità. Un giornalismo professionale non ha paura del citizen journalism, ma lo sfrutta.
In che senso?
Il citizen journalism, nell’accezione che gli abbiamo dato prima, quella accompagnata da lavoro redazionale, offre una ricchezza sterminata di fonti e punti di vista, accompagnate da una maggiore copertura sul territorio. Se si pensa che uno dei problemi principali del giornalismo italiano è il rapporto troppo intimo con le fonti ufficiali, l’abbondanza di fonti che può provenire dal citizen journalism può attenuare questo tipo di problema.
C’è chi afferma che dal citizen journalism la figura del giornalista professionista esca modificata, ma non svuotata del suo valore, altri sostengono al contrario che la professione del giornalista scomparirà nel prossimo secolo. Per concludere, che ne pensa di questa contrapposizione, come si colloca tra i due opposti?
La professione di giornalista non scomparirà. Ovviamente sta mutando. Ma al contrario di quanto si possa pensare, questo è uno dei momenti più vivi e vivaci del giornalismo. Si pensi al Data Journalism, che si è sviluppato negli ultimi anni e che offre davvero potenzialità importanti per il monitoraggio di fenomeni sociali quali la politica, l’immigrazione e simili. Il giornalismo non è in crisi. È in crisi il modello di business, il modo in cui si produce valore dall’attività, ma non l’attività in sé. Ovviamente in questo processo è coinvolta anche la figura del giornalista, ma non un suo declino, bensì una sua mutazione.
Francesco Frisone
Francesco Frisone, nato nel 1994 a Roma. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Pavia, è allievo IUSS e alunno dell’Almo Collegio Borromeo. Ha frequentato la London School of Journalism nell’estate 2014 e ha lavorato per l’Ufficio del Sindaco Depaoli a Pavia nel 2015. Si interessa di media, politica e campagne elettorali.