Istantanee dal Salone del libro
Pubblichiamo le “istantanee dal Salone del libro” scritte da alcuni autori dell’antologia “Racconti dal Piemonte” in merito a impressioni, pareri, sensazioni durante il Salone del libro di Torino.
Riccardo Lanferdini
Solo che i libri non si vendono come le saponette, e io in trent’anni i lettori li ho visti sempre nascere sull’onda di un contagio che di pubblicitario aveva poco. Consigli degli amici. Incontri con scrittori o altra gente che ha fatto dell’amore per i libri la ragione di una vita.
Non si può essere abbastanza soli, quando si legge, e non si può avere abbastanza silenzio attorno e la notte non è mai abbastanza notte. Si legge soli e anche quando non si legge, se si è consacrati alla letteratura, la testa seguita a dimorare nei libri, distaccata da tutto
(on air: Tom Waits – Jersey Girl)
Abbiamo sempre un rapporto difficile con il Salone: una vetrina per gli addetti del settore, una macchina farraginosa, un immenso carrozzone in cui il lettore comune stenta a muoversi, tra code interminabili e case editrici specialistiche di oscura provenienza. Non ultimo lo scontrarsi con l’idea che il fil rouge sia l’aspetto meramente economico/commerciale: perché dovrei andare al Salone a comprare dei libri che posso trovare anche in libreria. e poi non fanno nemmeno lo sconto! Luoghi comuni, che aleggiano nell’aria e come tali sono solo parte della verità. Lo sconto c’è, e mi verrebbe da aggiungere: perché quando si parla di libri cerchi lo sconto e quando, invece vai ad un aperitivo paghi 10 euro per il tuo mojito senza tante storie. ma, questo è un altro discorso, non divaghiamo. Le premesse iniziali vengono smentite sin dall’inizio. Sin da quando, venerdì sera corro per recuperare il flyer della festa minimum e mi imbatto nel sorriso trascinante di Davide della Libreria Therese: la festa è appena iniziata! L’aria che si respira è frizzante e della gigantesca macchina organizzativa avverto solo i fumi in lontananza. È come se ci fosse una spaccatura tra vecchio e nuovo. Differenze generazionali. Dove la generazione ci spiega Philippe Daverio nell’incontro sulle avanguardie, non è riconducibile semplicemente ad un arco temporale/anagrafico. In questa veste, il Salone finisce per essere uno specchio del nostro tempo, un palcoscenico del nostro ‘Bel Paese’. La cornice del microcosmo culturale/editoriale italiano particolarmente chiacchierato, proprio negli ultimi tempi. Quello che fa notizia è la dubbia acquisizione tra grossi gruppi editoriali. Forme di cannibalismo, di huxleyana reminiscenza, che ci ricordano e confermano la triste condanna delle multinazionali nel doversi ingigantire per sopravvivere. Quello che fa pensare è l’efficacia delle crociate di evangelizzazione, volte a convertire e creare nuovi adepti al Dio Libro. Campagne di stampo vistosamente pubblicitario e che, come tali, hanno tanto richiamo prima e durante la costruzione dell’evento mediatico quanto pochissimo seguito dopo. Quello che fa orrore è la difficoltà nel portare avanti un lavoro culturale in situazioni di precarietà dovuta non solo alla scarsità dei famigerati fondi stanziati dal governo ma dall’insolvenza, ahimè, delle stesse case editrici. E se il mondo dell’editoria è questo il Salone lo riflette. Luoghi comuni, che aleggiano nell’aria e come tali sono solo parte della verità. Se è vero quanto diceva Heidegger che il linguaggio è la casa dell’essere, nessuno avrebbe immaginato che la si sarebbe arredata con mobili ikea – e quanto sostiene Francesco Forlani per significare l’impoverimento culturale di molte grandi testate. Ma, per fortuna c’è dell’altro, c’è del nuovo. In un Paese colpito dall’immobilismo, da un’inettitudine sveviana, dove si arriva a pensare di demandare ad una singola voce la produzione editoriale, la risposta che arriva dal Salone è un coro multiforme che, tuttavia, proclama all’unisono il valore indiscusso di una professionalità. Qualcuno da tempo ha deciso di arredare la casa in modo diverso. Una casa che, in primis, è quella editrice. Le piccole case editrici sono loro le vere meraviglie del Salone. Grandi non lo saranno mai per dimensioni ma lo sono già per carattere, passione, dedizione, impegno e chi più ne ha più ne metta. 1 Nicola Lagioia – Giro d’Italia in ottanta librerie 2 Tommaso Pincio – Panorama -NNEditore 3 Philippe Daverio – La cavalcata delle avanguardie 4 Francesco Forlani – Voci Indipendenti. Manifesto del comunista dandy 66thand2nd, Clichy, Del Vecchio, E/O, Elliot, Fandango, Fazi, Golem, Historica, Keller, Mattioli, Minimum fax, Miraggi, NEO, NNE, Nutrimenti, SUR, Tunuè, Voland… solo per citarne alcune, a mio parere case editrici non grandi ma grandissime. Alla nostra generazione sono mancati i maestri dice Mario Capello, noi giovani siamo colpiti da una forma di precariato che lui, per primo, definisce cognitivo. Il compito delle case editrici è restituirci i maestri, dare voce a chi non ce l’ha, puntare sugli esordienti, sperimentare. E i segnali che vengono dal Salone sono davvero incoraggianti. Sempre citando Mario, in riferimento al sistema stagnante italiano, le paludi sono anche i posti più attivi e fervidi dal punto di vista biologico e della vita. Certo, non è facile, anche qui al Salone, gli spazi e i tempi sono ridotti, fa notare Francesco Giubilei, ma le possibilità ci sono, confinate negli angoli indipendenti ma ci sono! E ricordiamoci che si parte dagli angoli per voltare pagina, e cambiare le cose. E così il programma del Salone, tanto vasto e che in prima battuta sembra essere limitante diventa altresì illuminante proprio nella necessità di dover scegliere cosa cercare. L’angoscia della scelta è quello che ci rende perfettamente umani ripete Christian Raimo. Una scelta bilaterale. Da un lato il lettore e le sue preferenze insindacabili di lettura, principio base e fondamento della lettura stessa – e mai più appropriato, in questo caso, risulta il claim proposto durante il Salone: la lettura può creare indipendenza. Dall’altro le case editrici che decidono di affermare la propria identità per area geografica (sia essa il Sud America, l’Europa dell’Est ovvero i Paesi Scandinavi) o finiscono per differenziare l’offerta – viene in mente l’esperimento della Tunuè che, storicamente dedita alla graphic novel, ha deciso di sconfinare stoicamente nel terreno della narrativa dando ufficialmente potere alle storie, un progetto editoriale di notevole valore e successo di pubblico. Insomma il Salone dei piccoli ci insegna cosa significhi essere grandi editori: – nello sguardo verticale, in grado di andare in profondità, perché spesso ci si dimentica di ciò che contraddistingue la letteratura, ovvero la sua natura immortale, immune dallo sguardo feroce del tempo, i classici vengono sempre da un futuro prossimo. – nell’analisi dei testi , perché spesso ci si dimentica che il lavoro editoriale nasce da una grandissima preparazione tecnica nonché acume logico ed intelligenza emotiva. – nella ricerca continua di opere finite nel dimenticatoio, perché spesso ci si dimentica che l’obsolescenza dei testi è legata a logiche di mercato ma, per fortuna, l’editoria è tanto distratta quanto capace di ripescaggi. Tra le tante presenti mi sento di citare NN Edizioni, una casa editrice nata il 19 Marzo scorso, e che nel giro di due mesi ha tirato giù un catalogo da far invidia alle migliori case editrici per vastità autoriale temi trattati, forma e stile. Una vera e propria Benedizione per noi lettori, omaggiati dalla stessa NNE con l’ultimo piccolo capolavoro di Tommaso Pincio, Panorama, che ho divorato nelle notti successive, che è anche un breve panegirico nei confronti della lettura e, di nuovo, del ruolo protagonista del lettore. L’invito rivolto a tutti è di non smettere di scegliere, continuare a parlare di libri, cercare di ‘scolarizzare’ quelle sacche di ignoranza che pongono l’Italia sotto la media culturale europea. Un invito, per dirla con un titolo presente alla fiera, a non avere paura dei libri. Si tratta di un impegno quotidiano alimentato solo dall’amore continuo e costante verso i libri. Tanta passione e dedizione non possono essere fermati solo da mere logiche di mercato, nemmeno da un gesto tanto vile e meschino quale il furto avvenuto ai danni della Hacca edizioni, una casa editrice che pubblica libri dalle veste grafica meravigliosa che profumano di carta stampata e sogni di giovani esordienti. In questo clima indipendente ha finito per prevalere lo spirito di solidarietà e unione magicamente espresso nella campagna #tuttiperHacca. Siamo a favore delle grandi idee che uccidono. È l’incipit del manifesto futurista di Marinetti nella sua versione, originale, francese – tradotto erroneamente in italiano in siamo a favore delle grandi idee per cui vale la pena di uccidere, per dare adito e supporto alle teorie militariste del secolo scorso – ed è il modo con cui Philippe Daverio ha chiuso la sua lectio magistralis sulle avanguardie. Si può vivere fuori dall’ufficialità, ha continuato il noto antropologo postmoderno (come ama definirsi) a voler significare che le forme artistiche e con esse la letteratura, non devono essere assoggettate a sistemi di natura politica, sociale e economica, ma piuttosto devono rimanere indipendenti. Ed è proprio questa a mio parere, la chiave di lettura del Salone 15, nonché un personalissimo #messaggioalfuturo.
Guerrino Babbini
In viaggio su mezzi di trasporto pubblici verso il salone del libro, sono immerso nei ricordi. Otto anni fa la mia prima presenza al salone come scrittore. Ricordo Saitta, presidente della allora provincia di Torino. Comprò il mio primo libro. Lo avevo scritto alla fine dei miei settant’anni. Parlava di lotte operaie e della mia esperienza religiosa. Ricordo che il cardinal Poletto, dopo una conferenza con altri cardinali girava per il salone raccogliendo baciamano. Gli chiesi di potergli regalare il mio libro. Acconsentì e mentre i suoi occhi erano intenti ad esaminare il titolo, Quando la fede e la lotta sono di classe, gli dissi: “Sono stato prete operaio” “Ed ora?” mi chiese “Ora sono in pensione”.
Speravo leggesse il libro. Avrebbe trovato qualche idea in più sulle posizioni degli operai nei confronti della chiesa.
Incontrai molti amici venuti appositamente per il libro. Altri capitavano allo stand delle fondazioni sindacali di Torino, dove ero ospite. A questi raccomandavo la bellezza del mio libro, unica prova di questa bellezza: lo avevo scritto io.
Furono 5 giorni belli, descritti dettagliatamente nel capitolo QUANDO del libro Le sinistre hanno l’elastico, edizione epub. Ricordo i molti ed inutili i tentativi di accreditarmi con i giornalisti dell’ufficio libri de La Stampa. Credevo che la mia età ed il contenuto del libro attribuissero una certa originalità allo stesso. Gambarotta al quale avevo chiesto solidarietà per confermare la nuova e ambita qualificazione di scrittore, mi rispose bruscamente, che l’età non fa grado e che lui non amava rottura di scatole da aspiranti scrittori.
Ieri un mio coetaneo, al circolo anziani, mi ha chiesto: “Il libro? è tutto a posto? come mai non sei al Salone”? “Tutto a posto. Il libro lo abbiamo scritto in 40. Io ho scritto un racconto su salute e sanità. Su quali argomenti abbiano scritto gli altri non so. Domani saprò”.
Il pensiero ricorrente è l’evento di oggi. Dopo 5 libri e la partecipazione a vari concorsi è la prima volta che mi premiano. Siamo in 20 o più ad essere premiati. L’unico elemento comune è che siamo “scrittori dal Piemonte”. Non conosco gli altri. Sono curioso di conoscerli. Non conosco neppure l’editore, né il libro che ha prodotto. Non ci ha chiesto alcun curriculum. La mail diceva solo che se eravamo destinatari della stessa, eravamo tra i premiati, di confermare la liberatoria alla pubblicazione e la presenza alla premiazione in sala Avorio. Chissà quanti di noi sono proprio di origini piemontesi. Il mio sangue, nonostante che 70 dei miei ottant’anni li abbia camminati in Piemonte, che amo, reclama le sue radici romagnole.
Dopo il tram numero 4, riesco ad inserirmi sul 18. Pieno all’inverosimile. Mi appendo ad una maniglia per non debordare i miei 100 chili addosso agli altri passeggeri. Sono preoccupato di come recuperare la porta di uscita alla fermata del Salone. Non c’è problema, quasi tutti siamo diretti lì.
Alla biglietteria cerco il portafoglio per dimostrare con la carta d’identità che ho diritto allo sconto di un euro. Se ci fosse scritto “scrittore”, al posto di pensionato, avrei diritto allo sconto di 5 euro. Il portafoglio non c’è più.
Invece di andare dietro ai pensieri dovevo stare attento agli scippi. Devo riconoscere che lo scippo è stato fatto con molta destrezza. I carabinieri di Leini diranno: “Ancora qui!” Chissà se c’è un bonus dopo un tot numero di scippi.
Esplorate bene tutte le tasche, per poter entrare telefono ad un amico che so essere all’interno del salone perché mi venga in soccorso. E’ in ritardo e dovrò attenderlo. Mi offre anche dei soldi, che rifiuto. Farò l’esperienza di passare un giorno intero al salone senza un euro, invalidando le finalità commerciali. Accetto un biglietto del tram per il ritorno, che farò tranquillo. L’unico modo per non subire furti è non avere nulla.
Mi dirigo verso la sala Avorio. Sono in anticipo e mi guardo intorno.
Il salone mi accoglie nel suo ingenuo tentativo di rompere le sbarre del mio anonimato. Come prete-operaio mi salutavano tanti che non conoscevo. Ora conosco molti volti noti che non sanno chi sono. Farò il conto degli amici che incontrerò. Nessun volto conosciuto. Per non incorrere in crisi di astinenza, attacco bottone e faccio subito altri amici.
Troverò i miei editori. No. Se non ricordo male sono un selfpublisching. Gi editori digitali, pochissimi e ben nascosti in tonnellate di carta. Poveri alberi.
La sala Avorio ha una capienza di 35 posti. Con amici parenti e benefattori siamo più di 100. Bisogna fare turni per la premiazione. Incontro due amiche di Caselle e una compagna di Cuneo dell’età di mia figlia, disponibile a farmi una foto durante la premiazione. Anzi ci scambiamo le mail e mi dà un bel bacio. Niente male come premio. L’altro premio è un cartoncino che recita: “Concorso letterario, racconti dal Piemonte, prima edizione. Guerrino Babbini. Il suo racconto, (Le notti del Ginocchio), è stato selezionato e pubblicato nell’antologia “i Racconti dal Piemonte”. Editrice historica”. 224 pagine.
Il libro ha una bella copertina con mole Antonelliana e il Monviso sullo sfondo. Si definisce bene con le parole di 4° copertina:
“Racconti dal Piemonte è un’antologia che racchiude storie di scrittori che vivono in Piemonte. In ogni episodio narrativo è possibile ritrovare luoghi, persone emozioni usi e costumi radicati nel territorio regionale. L’antologia è un coro di voci, di ricordi e di generi letterari diversi nella quale il passato e il presente si intrecciano per raccontare storia di vita quotidiana diverse tra loro che evidenziano le qualità e le varietà umane e culturali presenti in una stessa terra”.
Prima della premiazione hanno parlato del progetto. Si potevano fare domande. Chiedo: “Come mai nessuna indicazione sugli autori”?
Le spiegazioni: trasparenza e imparzialità, sia per chi ha tante pubblicazioni e chi non ne ha nessuna, non mi convincono. A me piace sapere chi è che scrive, per capire meglio quello che scrive.
Paola Gaiani
Abbacinante, brioso, confuso, divertente, entusiasmante, faticoso, germanico, happy, instancabile, luminoso, maestoso, nebuloso, onnivoro, piemontese, quadrato, roboante, sudato, titanico, usato, veloce, zeppo. Mi sono divertita ad accostare una serie di aggettivi, tutti rigorosamente in ordine alfabetico – se no dove starebbe il divertimento? – che bene potrebbero attribuirsi al Salone del libro di Torino, alla luce dell’esperienza che ho vissuto nella giornata di domenica 17 maggio 2015 al Centro Fiere Lingotto. Smaltita la sbornia emotiva, nei giorni seguenti la visita è subentrata l’analisi razionale di ciò che ho provato e, con accresciuta consapevolezza, ho aggiunto un tassello alla mia idea di libro, di lettura e di scrittura. È risultato più chiaro che tipo di lettrice e di scrittrice vorrei essere e, cosa per me ancora più rilevante, che tipo di lettrice e di scrittrice vorrei non essere… più. Vorrei non sentirmi inadeguata per tutti i libri che non ho (ancora) letto, ma neppure compiaciuta per quelli che, invece, ho già fatto miei, vorrei non essere misurata in funzione di come mi avvicino allo stand di un editore, vorrei non essere considerata in virtù del mio potenziale d’acquisto. Vorrei che il libro non fosse una merce o un effetto speciale ma un racconto effettivamente speciale. E veniamo alla scrittura. La quantità di pubblicazioni di cui sono circondata mi turba e mi fa dubitare persino del fatto che sia possibile far emergere le differenze. Mi domando, annaspando nel mare magnum dei testi, che probabilità mai avrò io che qualcuno si senta così attratto dal mio fraseggio dal desiderare di leggermi. Perché – ed è questo il vero punto della questione – dopo aver sentito l’urgenza di scrivere, l’autore avverte immediatamente l’esigenza di essere letto (ho detto “letto” e non “pubblicato”). E non è una questione di visibilità, immagine o fama, no, è proprio l’autentico bisogno di chi sente di riuscire a esprimersi solo scrivendo e che il suo scrivere può trasmettere pensieri e generarne miracolosamente altri in chi legge. È l’idea che le parole possano cambiare la percezione che si ha di sé e del mondo, avviando un processo rivoluzionario e potente: l’autoco(no)scienza. Per fare questo, però, c’è bisogno di un referente, un destinatario, un altro che accetti di compiere un’azione facile, ma imprescindibile: posare gli occhi sullo scritto e non staccarli più fintantoché non sia finito, proprio come si fa con le persone che ci parlano e che amiamo. Sì, ma che cosa fare per convincere l’altro a posare gli occhi sul proprio scritto? Nella mia visione romantica e forse un po’ anacronistica della scrittura c’è ancora posto per l’idea che le parole bastino a se stesse, se sono buone, giuste e così ben dosate e cercate da stordire di piacere chi, leggendole, si vede intimamente raccontato da e in esse. E se ci voleva il Salone del libro di Torino per ricordarmelo, sia benedetto il Salone del libro di Torino!
Gabriella Delfino
Domenica 17 maggio 2015
Alcune bolle d’acqua sotto i piedi mi costringono, questa sera, a ripensare alla giornata, nonostante la stanchezza la faccia da padrona ed i miei occhi non vedano l’ora di abbandonarsi a Morfeo.
L’asfalto era torrido. Alcuni venditori ambulanti si avvicinavano alle persone accaldate in coda per i biglietti, avrei bisogno di un paio di occhiali da sole, li avevo dimenticati a casa, pensai. Un papà, che era in fila dietro di noi, teneva per mano un bimbo che avrà avuto sei anni cercando di ripararlo dal sole con la sua stessa ombra, con l’altra mano gli accarezzava i capelli.
Le ragazzine addette all’accoglienza, nella sala delle premiazioni, di fronte ad un pubblico troppo numeroso, sbraitavano in preda al panico che i posti erano esauriti, tutti gli altri avrebbero dovuto restare fuori, un po ‘ di compassione per loro, salvate dai ragazzi della casa editrice prima di un linciaggio generale.
Seduta nella sala Avorio guardavo con curiosità gli altri scrittori che aspettavano ,come me, la premiazione; chissà chi sono, non mi è dato sapere, ma tra i tanti faccio conoscenza con un compagno, romagnolo di origine ma piemontese di adozione, mi regala un suo libro, gentilezza d’altri tempi.
Panini di ogni tipo, quello pomodoro e cotoletta, mi è sembrato il più gettonato: profumi da fiera di paese.
Libri d’arte, libri di storia, saggi, naturopatia, astrologia, amore, odio, mari e monti; bambini, genitori, ragazze con la minigonna e tacchi alti, intellettuali con gli occhiali da vista appoggiati sul naso e protetti da un cordino, alcuni vestiti da hippy, altri vestiti con calze di filo e tailleur, ma facendo così caldo, questi ultimi sono durati poco. Maestre e maestri dell’asilo e delle elementari, professori delle medie e delle superiori, professori e maestre disoccupati, scrittori in erba e scrittori sempre verdi, scrittori famosi e sconosciuti, opinionisti, modelle e anziani . Pagine colorate o in bianco e nero ,
pagine che profumano di buono e di nuovo, pagine che odorano di vita e cultura, come tutti gli attori di questa giornata al Salone.