Io sono, l’album di Paola Turci che scava in profondità
Per un cantante ripercorrere la propria vita artistica scegliendo le canzoni più importanti può essere piacevole, a volte doloroso, ma anche noioso, specialmente se si tratta di scegliere la tracklist per un semplice best of. Per Paola Turci, che ha alle spalle quasi 30 anni di carriera (iniziò nel 1986), realizzare Io sonoè stato invece un modo per tornare alla forma essenziale delle sue canzoni, in un percorso che si snoda attraverso il periodo che va dal 1989 al 2005 . Il progetto uscito il 21 aprile per Warner Music è stato realizzato insieme a Federico Dragona, chitarrista de I Ministri e produttore di artisti molto lontani dallo stile di Paola (Le Luci della Centrale Elettrica, Iori’s Eyes), che qui ha sfrondato gli arrangiamenti di 12 canzoni del vecchio repertorio, proponendo un sound in bilico fra acustica ed elettronica, lasciando voce e parole assolute protagoniste. Per capire meglio lo spirito con cui è stato realizzato Io sono ci affidiamo alle parole della stessa Turci: “Un’autobiografia in musica costruita attraverso le mie canzoni, rilette e reinterpretate con nuove sonorità, più inclini al mio modo di pensare la musica oggi. Ho scelto le canzoni a cui sono più legata e ho desiderato dare loro non solo un nuovo abito, ma vorrei dire una nuova anima, un nuovo suono, un nuovo orizzonte. Qualcosa che desse loro, e al tempo stesso a me, una prospettiva di viaggio in avanti”. Insomma, è come se Io sono fosse la versione sonora di Mi amerò lo stesso, l’autobiografia “cartacea” che Paola ha pubblicato per Mondadori nel 2014.
Si parte con Volo così (del 1996), che inizia in modo asciutto, scarno, per aggiungere gradualmente pochi strumenti, e si continua con Stato di calma apparente, che rispetto alla versione originale del ’93 propone sonorità più scure, invernali e una continua tensione sonora che esplode nel crescendo finale. Mani giunte si presenta in una versione minimalista, dopo che nel 2002 Paola la cantò con gli Articolo 31 con il titolo Fuck You. Attraversami il cuore ha un leggero tappeto di tastiere che lascia tutto lo spazio alla calda voce della cantautrice, e che in questo caso non si discosta molto dall’intenzione originale del brano registrato solo pochi anni fa, nel 2009. Ringrazio Dio, che rappresenta un’altra tappa molto importante della carriera dell’artista romana datata 1990, nel quale si rivolge sarcasticamente a Dio ringraziandolo “per questa voglia di farci male”, con l’inserimento di loop elettronici è resa cupa e allo stesso tempo molto intensa, mentre la sensuale Dimentichiamo tutto si distacca dall’arrangiamento del 2005 per diventare più notturna e misteriosa. Bambini, il brano commovente e delicatissimo dedicato all’infanzia violata, abbandonata e sfruttata, che nel 1989 lanciò Paola definitivamente, è anch’esso più asciutto, accompagnato solo da archi e chitarra acustica. L’album si conclude con la delicatissima Mi manchi tu (cover di Missing you di John Waite realizzata nel 1997) e con Ti Amerò lo stesso del 1989, dove la musica è ridotta all’osso e la voce, ancora una volta, emerge in tutta la sua bellezza, qui con l’aggiunta di alcuni effetti riverberati.
Oltre alle dodici tracce tratte dal suo repertorio, Paola ha inserito tre inediti. Il primo dà il titolo al disco, ed è stato scritto da Francesco Bianconi (leader dei Baustelle e già collaboratore della Turci in passato) e da Pippo Kaballà (autore noto soprattutto per le canzoni scritte per Mario Venuti) ed è una delle poche composizioni rock del disco, con una ritmica semplice e un’atmosfera solare, nonostante l’ambivalenza del testo. Il secondo (il più bello) inedito è Questa non è una canzone, una morbida ballata dedicata a un amore che resiste agli inevitabili alti e bassi di una relazione. E poi c’è Quante vite viviamo, l’inedito più notturno e riflessivo. Entrambi sono stati scritti dalla stessa Turci insieme a Marcello Murru.
Io sono è un disco che scava in profondità, e per questo non può essere di impatto immediato. Va quindi ascoltato più volte con attenzione, per non perderne le sfumature emotive e sonore più nascoste. Unica pecca, se così si può dire, è la mancanza di brani tratti dagli ultimi, splendidi, album, Giorni di rose del 2010 e Le storie degli altri del 2012. Ma forse erano troppo freschi per cambiarsi d’abito.
Redazione
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