Il ritmo veloce della comunicazione: il digitale sta distruggendo il linguaggio?
di Beatrice Cristalli, in Media, New media, del 19 Mag 2016, 09:37
In principio era l’SMS. Vigeva un limite di esposizione verbale di circa 160 caratteri che costrinse gli utenti a creare le famigerate abbreviazioni, presto utilizzate anche tra i banchi di scuola. Poi si aprì l’era di Messenger, delle chat, dei social network e, infine, dei servizi di messaggistica istantanea: una vera sfida alla complessità del linguaggio e della scrittura, divenuta una confusa trasposizione di una lingua sempre più «desacralizzata» nei suoi aspetti morfologici e grammaticali, e che privilegia senza vergogna l’immediatezza e la simultaneità di informazioni e sentimenti. Siamo, secondo Derrick de Kerckhove, ben lontani dalla rivoluzione digitale della metà degli anni ’70. La nostra cultura dominante è quella che è stata definita dell’ always on, «sempre connessa». Una generazione ‒ non solo giovanile ‒ che è caratterizzata dall’essere costantemente raggiungibile grazie al proprio dispositivo mobile. La novità dell’avvento dei new media non risiede tanto nella possibilità di contattare sempre e comunque un individuo distante da noi, quanto nell’aspetto qualitativo dell’atto di comunicazione: la trasformazione sociale legata alla Rete ci permette infatti di inviare un’immagine di noi stessi, verbale o non verbale che sia, in movimento e in tempo reale. E dove la paratestualità non è più possibile, subentrano nuove modalità che sfruttano tutto ciò che la comunicazione web può fornire: dai simboli alle Emoticons, dalla punteggiatura a strani neologismi.
Ma la lingua si trova ad essere minacciata dal potere del digitale? Certamente, la mancanza di una norma o di una vera e propria grammatica ufficializzata comporta non poche ambiguità nella dimensione comunicativa. Pensiamo alla punteggiatura. È ormai noto il caso del punto, che nel web è divenuto sintomo di perentorietà e di rifiuto. O ancora pensiamo all’eccesso dei segni di interpunzione ‒ «spia del fatto che non si ha l’attitudine ad articolare il pensiero in un discorso chiaro, coerente, compiuto», come sostiene Elisa Tonani ‒ , così come gli errori nell’utilizzo dei due punti e il sostanziale abbandono del punto e virgola. In realtà, le modifiche apportate a tali tradizionali segni ci indicano che il nostro modo di comunicare nell’era digitale sta subendo un mutamento linguistico, l’equivalente dell’evoluzione biologica applicato al linguaggio. Da alcuni studi riportati sulla rivista Social Neuroscience, sembra che, dal punto di vista cognitivo e psicologico, l’uso di Emoticons sia tutt’altro che innocuo, anzi, le faccine cambierebbero addirittura il modo in cui funziona il nostro cervello: «Esse rappresentano una nuova forma di linguaggio che stiamo creando» spiega il dottor Owen Churches della Flinders University, «e per decodificare il nuovo linguaggio abbiamo sviluppato un nuovo modello di attività celebrale».
Ma niente panico. Sembra che, mentre ci preoccupiamo della fine della civiltà scritta, sotto i nostri occhi proprio la scrittura abbia trovato uno sviluppo senza precedenti. Tutte le critiche e le preoccupazioni in merito alla progressiva socializzazione del linguaggio trovano un equilibrio nella prospettiva di John McWorther, docente di linguistica presso la Columbia University: il texting, ovvero il linguaggio utilizzato negli SMS e nelle piattaforme social, rappresenta una categoria a sé, e per questo è dotato di propri modelli, regole e strutture, seppur in divenire. Dunque, afferma il professore, è sbagliato giudicarlo e analizzarlo con gli stessi strumenti utilizzati per lo studio linguistico tradizionale. Il texting si configura come una “quasi-scrittura” più vicina alla forma del parlato con cui abbiamo comunicato per molti secoli, una nuova modalità d’espressione, non del tutto conscia negli utenti, che McWorther definisce finger writing. Il suo utilizzo, al fianco della loro abilità di scrittura ordinaria, è stato oggetto di uno studio condotto da Shazia Aziz intitolato The impact of texting:le prove alle quali sono stati sottoposti dei giovani universitari hanno dimostrato come il texting, monitorato da una conoscenza grammaticale e morfologica, abbia una influenza positiva a livello cognitivo, in quanto comporta un arricchimento del repertorio linguistico. Tuttavia, tale “bilinguismo” moderno è costantemente monitorato. Sfugge alla regola, così come sfugge lo statuto di regola. Ma il ritmo linguistico cambia, nuovi miti vengono abbandonati e un nuovo modo di pensare e riproporre le nostre sensazioni ci accompagna già nel quotidiano. E forse non ce ne siamo davvero accorti.
Beatrice Cristalli
Beatrice Cristalli nasce nel 1992 a Piacenza. Laureata in Lettere con una tesi in Critica leopardiana presso l’Università degli Studi di Milano, prosegue la carriera accademica frequentando il biennio specialistico. Il suo blog è stato inserito nello Spotlight “scrittori” sul portale Tumblr. Attualmente è impegnata in un progetto accademico del Seminario di Filosofia della Letteratura presso l’Università degli Studi di Milano. Scrive per Cultora da gennaio 2016.