Gli Ottant’anni di Giampaolo Pansa
Negli ultimi dieci anni Giampaolo Pansa è stato probabilmente uno dei personaggi pubblici più detestati dalla sinistra italiana. Nel dipartimento di Storia dell’Università di Torino soltanto il suo nome bastava a creare scompiglio, tra certi professori non meno che tra gli studenti. La cosa interessante è che una cospicua parte di costoro non aveva letto una pagina delle sue opere, rifiutandosi di farlo per presa di posizione in nome di un generico attaccamento agli ideali incarnati dall’antifascismo, non accorgendosi che tale atteggiamento di antifascista non avesse poi molto (perlomeno nel senso da costoro attribuito al medesimo): il pregiudizio era anzi incardinato già nel fatto stesso di credere che si trattasse di testi non antifascisti.
Se Pansa, giornalista noto sin dagli anni Sessanta (dall’epoca in cui raccontava il disastro del Vajont e forse anche da prima), è tornato alla ribalta verso il 2003, fondamentalmente a seguito della pubblicazione dei suoi primi libri di denunzia dei misfatti partigiani dopo la Seconda Guerra Mondiale, tacciati poi senza riserve di revisionismo in malafede. Non possiamo qui ripercorrere le tappe di un cammino sì tortuoso, ma ad ogni modo in tanti ricorderanno quale nube di fumo riuscì a provocare quel fiume d’inchiostro: d’accordo, non fu che una guerricciola nella gigantesca guerra civile ideologica che contrappose le parti nell’Italia di Berlusconi, ma l’opinione pubblica si divise sostanzialmente tra pansiani e antipansiani.
Piemontese di Casale Monferrato, Pansa crebbe in un ambiente familiare sereno. Studente modello, il padre, accortosi della sua vocazione allo studio, lo esortò a iscriversi all’università. Il giovane, per una volta felice di secondare le intenzioni paterne, si laureò in Scienze politiche a Torino con una tesi sulla Resistenza nell’Alessandrino. Oggi i suoi avversari tendono a nascondere quel poderoso lavoro di ricerca che gli valse la lode e i complimenti del suo relatore, lo storico Guido Quazza, ma una studiosa molto più giovane di loro, Gilda Zazzara dell’Università di Venezia, così ne scriverà molti decenni dopo:
Quazza lo aveva seguito nel suo ponderoso lavoro di ricerca sulla Resistenza nella provincia di Alessandria, che lo aveva portato a una laurea brillante alla facoltà di Scienze politiche di Torino. Forte di una lunga ricerca, il neo dottore presentò al convegno di Genova una scrupolosa disamina delle fonti sinora usate dalla storiografia resistenziale, scritte e orali, segnalando le falsificazioni e le false notizie in cui uno studioso non vigile poteva incorrere. La grande novità stava nel fatto che Pansa indicasse il maggior limite della letteratura prodotta sino ad allora nel mancato ricorso a fonti tedesche e fasciste.
La Storia a Sinistra, Laterza 2011
Era il riconoscimento del principio dell’audiatur altera pars (sia ascoltata anche l’altra parte) che il giornalista di Casale Monferrato ha sempre tentato di presentare come certificato deontologico. La dottoressa Zazzara fu una delle pochissime esponenti del mondo accademico a riconoscerlo come interlocutore.
Terminati gli studi il Nostro preferirà tuttavia la redazione alla cattedra: scriverà sul Giorno, su La Stampa, su Repubblica, dove per diverso tempo farà da vice a Scalfari, sino ad approdare a Libero, per l’incredulità di molti suoi vecchi lettori (“è impazzito!” ipotizzò qualcuno; “è diventato fascista!”, gridarono altri). Certo erano lontani i tempi in cui piaceva alla sinistra, quando parlava di giustizia sociale e litigava con Giuliano Ferrara…
Dal Sangue dei vinti a I gendarmi della memoria, da Sconosciuto 1945 a La grande bugia, Pansa non ha smesso di raccogliere consensi e collezionare inimicizie. Ebbene, nel giorno dei suoi Ottant’anni gli auguriamo possa seguitàre a farlo ancora per molto tempo.
Marco Testa
Cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, vive e lavora a Torino. Archivista-storico e musicologo, lavora principalmente per l’Archivio di Stato del capoluogo piemontese. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio “G. Verdi” di Torino, è docente dell’Accademia Stefano Tempia (storia della musica/guida all’ascolto) e collabora con festival e istituti di ricerca. È autore di pubblicazioni d’interesse storico e musicologico.