“Endkadenz”: sono tornati i Verdena
Qualche giorno fa, precisamente il 27 gennaio, è uscito Endkadenz, il nuovo disco dei Verdena che sarà diviso, sotto consiglio dell’Universal, in due volumi, il primo è appunto già uscito, mentre per il secondo bisognerà attendere ancora qualche mese.
L’attesa è finita, almeno per metà. Chiunque sia appassionato di musica, attendeva questo disco con impazienza, quanto un bambino può attendere Babbo Natale e i regali. Il motivo di questa febbrile eccitazione, è dovuta al fatto che (parlo di chi li ascolta da un bel po’) dai Verdena non si sa mai cosa aspettarsi. Wow, il disco doppio uscito quattro anni fa, ha segnato una svolta importante all’interno della discografia del trio bergamasco: un capolavoro che ha, finalmente, consacreto i Verdena come una tra le migliori band del panorama nostrano, una delle poche che ha l’abilità di sperimentare sempre musicalmente, spingendosi in territori nuovi che risultano sempre come delle scelte efficaci.
Proprio grazie, o a causa, di Wow, le aspettative questa volta erano davvero alte. “Sarà o non sarà meglio di Wow?”, “Non è che nel frattempo sono peggiorati?”, “Saranno tornati a quel sound grunge degli esordi o si mantengono su quell’atmosfera onirica dell’ultimo album?”. Questi pensieri hanno attraversato la mia testa, più volte ad essere sinceri, e dopo l’ennesimo ascolto di Endkadenz, sono riuscita a rispondermi.
Endkadenz non è meglio o peggio di Wow, sono semplicemente diversi. È possibilissimo rintracciare lo sperimentalismo dello scorso lavoro anche in questo, ma in questi quattro anni passati a scrivere, registrare e comporre, Alberto, Luca e Roberta, hanno creato un nuovo punto d’arrivo.
Partiamo dal nome: che vuol dire Endkadenz? Secondo gli stessi membri della band, il nome fu trovato per caso all’interno di un libro sulle percussioni che Luca Ferrari, il batterista dei Verdena, stava appunto leggendo. Mauricio Kagel, compositore, aveva usato questo termine per descrivere un particolare tipo di finale delle sue opere, ovvero il timpano veniva distrutto, lacerato da un uomo che aveva il compito di buttarcisi dentro, per segnare appunto la fine dell’esecuzione. Quello che si può definire “finale col botto”.
Il disco si apre con la traccia Ho una fissa. Pezzo che carica facilmente prima di passare ad ascoltare tutto il resto.
È bene sottolineare sin da subito che questo può essere considerato l’album delle distorsioni, delle voci distorte fino al limite, cosa che sembra piacere molto ad Alberto, e che a quanto pare verrà riproposto in questo stesso modo anche durante il tour.
Puzzle è la seconda canzone della tracklist, e qui si nota già un certo residuo di Wow, un’atmosfera più sognante, una ballata psichedelica.
Un po’ esageri è il singolo che ha anticipato l’album. Orecchiabile, quasi pop e quindi insolito per la band, ma basta ascoltarlo più attentamente per apprezzarne i riff.
Si continua con la trascinante Sci desertico che ci getta addosso un’altra novità dei Verdena, la voce in falsetto, presente all’interno di tutto il disco.
Segue Nevischio, in cui è evidente un tono un po’ country della chitarra, ma soprattutto sembra di scorgere un’esplicita influenza da parte del Battisti anni Settanta, quello di Anima Latina.
Arrivano poi Rilievo e Diluvio, che lasciano respirare un po’, ma sempre costretti in una cornice dark, malinconica. Diluvio, poi, è una canzone d’amore, che riprende un po’, se vogliamo, il discorso di Scegli me e Lei disse.
Derek. Follia pura. Un pezzo completamente schizofrenico che merita di essere ascoltato in cuffia e ad alto volume e che spinge ancora più in là lo sperimentalismo già noto dei Verdena.
Siamo giunti alla seconda parte del disco, e si prosegue con molta più calma rispetto ai pezzi precedenti. Vivere di conseguenza è forse la traccia più “italiana” che si trova nell’album, che richiama parecchio Wow. Poi Alieni tra di noi (definizione che calza a pennello anche per il trio di Albino), che si fa forte delle distorsioni della voce di Alberto portate sempre più all’estremo. Battisti avrebbe probabilmente apprezzato anche il sound di Contro la ragione: il piano, le trombe, le percussioni, elementi che ci fanno effettivamente fare un tuffo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta (il tutto comunque marchiato a fuoco dall’originalità dei Verdena, che di questa abbondano).
L’inno del perdersi, del perdersi proprio nella musica, nella composizione, un netto ritorno all’ambientazione di Requiem, un pezzo che lascia abbastanza spiazzati. E ora Funeralis, la suite a cui è affidata la conclusione del disco, di una bellezza struggente, che va a formare una perfetta coda del brano che la precede.
Chi conosce un po’ la sottoscritta sa benissimo che quest’articolo si può leggere come una rinnovata dichiarazione d’ammirazione verso la band bergamasca, ma d’altronde la mia stima non è mai stata riposta meglio di così, in un gruppo che ha sempre avuto la capacità di andare oltre, non solo musicalmente ma anche con i testi, con la lingua italiana che si adatta ai suoni più sconcertanti fondendosi in esperimenti totalmente riusciti.
Endkadenz (Vol. 1) è la sesta prova che i Verdena hanno bravura da vendere, la conferma che non saranno mai fermi su un solo stile ma piuttosto tengono, per fortuna, la mente aperta verso tutto ciò che l’ispirazione dona loro.
Vi consiglio di correre ad assistere ai loro live (cosa che farò assolutamente anche io), perché questo tour, che inizia il 27 febbraio a Rimini (le altre date ve le riporto qua sotto), promette tante sorprese, e di aspettare pazientamente il secondo volume.