Eleonora d’Arborea, Dramma lirico in 4 atti di Carlotta Ferrari
Nell’autunno del 1870 una compositrice lodigiana oggi pressoché dimenticata, Carlotta Ferrari (1830-1907), faceva rappresentare nel Teatro Civico di Cagliari, tra le vie del suggestivo quartiere di Castello, un dramma lirico in quattro atti intitolato Eleonora d’Arborea, che pare riscosse un certo successo. Il fatto, che pure non passò allora sotto silenzio, sembra oggi completamente ignoto persino a una cospicua porzione degli “addetti ai lavori” e merita però di essere riscoperto.
Viene spontaneo chiedersi che cosa potesse aver spinto l’artista lombarda a interessarsi alla principessa più famosa di Sardegna al punto di volerne metterne la figura in musica, libretto compreso (giacché wagnerianamente la Ferrari era solita scriversi i libretti da sé), operazione peraltro mai tentata, a quanto ci risulta, da alcun musicista isolano. Come nacque, insomma, l’affezione della Lodigiana per l’Arborense?
Secondo quanto ne scrisse la stessa Ferrari nella nota introduttiva al libretto dell’opera, il proposito di dedicare un dramma musicale a Eleonora nacque tuttavia dal “nobilissimo intendimento del Comitato Cagliaritano, promotore del monumento che si sta erigendo alla sublime donna”. A questo punto sorgerebbe però spontanea un’altra domanda: perché il Comitato di Cagliari scelse proprio la Ferrari? Soltanto il ricorso alle fonti potrà fornirci delle risposte adeguate.
Ad ogni modo siamo persuasi che la Eleonora di Carlotta Ferrari rappresenti una questione di non secondaria importanza per la cultura sarda e italiana, o meglio per un’analisi del rapporto che intercorre tra esse (ragion per cui i suoi risvolti interesseranno presumibilmente più il cittadino dell’isola che quello della penisola). Nella già citata nota introduttiva al libretto dell’opera, scrive l’autrice: “Il nome di Eleonora d’Arborea appartiene alla storia che ce ne tramandò i gloriosi fatti. Ma anche senza di ciò la celebre eroina Sarda aveva lasciato imperituro documento dell’altezza della sua mente e della sua civile sapienza nella famosa Carta De-Logu, la quale pervenne, in alcune parti, siccome affermano dottissimi statisti contemporanei, l’odierno progresso”. Il che ci da la misura di come in quel secolo affamato di Medioevo, tanto più in un’epoca in cui un’entità statale chiamata Regno di Sardegna aveva appena realizzato l’unificazione politica della penisola italiana, figure singolari come quella della giudicessa, nativa in una cittadina della Catalogna, sapessero richiamare l’attenzione della storiografia, del mondo degli studi e delle arti, ma certo solleticasse pure gli spiriti romantici di un momento storico particolarmente disposto ad accoglierli. E da vera donna dell’Ottocento, questa specie di Paolina Leopardi che era la Ferrari non poteva rinunciare a far emergere l’elemento romantico come centrale nella sua opera; non poteva rinunciare a tentare di far rivivere l’amore di Eleonora “sì lungamente contrastato per Brancaleone Doria”.
Tutto ciò fa parte del suo tempo, di un tempo in cui la cultura del Romanticismo tendeva a raffigurarsi Eleonora come un’eroina illibata, donna virtuosa dall’immagine idealizzata, quasi fosse un ritorno agli ideali stilnovisti o a quel tipo di ritratto tipologico e impersonale cui secoli di Medioevo ci hanno abituato.
Perché dunque fu scelta la Ferrari? E perché la Ferrari s’interessò a Eleonora? Ci sembra una questione che varrebbe davvero la pena approfondire.
Marco Testa
Nato nel 1983 e cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storico-archivistici e musicali. Autore di saggi e numerosi articoli, partecipa, in qualità di relatore e moderatore, a festival e fiere. Redattore di “Cultora” e del “Corriere Musicale”, svolge attività di ricerca e collabora con la sezione didattica dell’Archivio di Stato di Torino. Adora (quasi) tutto ciò che è Musica, il mare, la letteratura di viaggio, la letteratura e il cinema horror, gli antichi borghi, il buon cibo e molto altro. Vive a Torino dal 2008.