E Google sgancia!
Secondo il Corriere della Sera, sarebbero trapelate indiscrezioni sul fatto che il gigante Google pagherà circa 320 milioni di euro di tasse su 800 milioni che riconosce come imponibile prodotto in Italia dal 2008 al 2013.
Un portavoce di Google commenta all’ANSA la notizia stampa secondo cui l’azienda avrebbe raggiunto un accordo col Fisco italiano: “La notizia non è vera, non c’è l’accordo di cui si è scritto. Continuiamo a cooperare con le autorità fiscali”.
La contestazione nasceva dal fatto che “i profitti della raccolta pubblicitaria nel nostro Paese venivano registrati in Irlanda e a Bermuda”.
Una minuziosa indagine a quanto pare ha incrinato il meccanismo di elusione fiscale ma alla pace ha contribuito la volontà di Google di porre fine al contenzioso.
Si tratta di una notizia importante sotto diversi punti di vista: è una delle prime sconfitte del complesso sistema di elusione fiscale impiegato da numerose multinazionali, il c.d. Double Irish, in particolare in campo tecnologico.
L’indagine portata avanti in Italia dal pubblico ministero Isidoro Palma e dalla Guardia di Finanza è riuscita a dimostrare che i profitti sono stati generati in Italia a cui non sono corrisposte le tasse locali, infine la regia legale che ha permesso a Google e al Fisco di trovare un accordo è stata curata da Paola Severino, ex Ministro della Giustizia nel Governo Monti, e rappresentante legale di Apple.
Il meccanismo Double Irish è impiegato dalle più importanti multinazionali statunitensi fin dagli anni ’80, tra i precursori, anche in questo campo c’è Apple sulla quale in Italia è in corso una indagine. Costituendo una filiale in Irlanda, ma anche in Olanda, Lussemburgo, Bermuda e altri paradisi fiscali le corporation spostano i ricavi generati nelle varie nazioni per attribuirli alle filiali dove le tasse sono molto più basse: il tutto è però eseguito rispettando leggi e regole in vigore in ciascun paese, ma il risultato finale è una immensa elusione fiscale.
L’indagine di Google che ha portato all’accordo con il Fisco italiano è riuscita a dimostrare che i ricavi pubblicitari non solo sono riconducibili a clienti italiani ma che i servizi sono stati ideati, trattati e gestiti in Italia.
La decisione di Google appare come un colpo di scena in quanto non sarebbe privo di armi giuridiche per provare una resistenza a oltranza, né l’opportunità di attendere a maggio l’atteso decreto legislativo fiscale che sottrarrà “l’abuso del diritto, cioè le operazioni che, pur nel rispetto formale delle norme, realizzano vantaggi fiscali indebiti”. Invece, dopo una riunione tra penalisti, tributaristi, magistrati e GdF, è stata raggiunta un’intesa.
Ha trionfato la volontà di distensione nei confronti dello Stato Italiano.
Il Procuratore della Repubblica di Milano Bruti Liberati, precisa che “allo stato delle attività di controllo non sono state perfezionate intese con la società”. In una nota Bruti Liberati conferma che sono in corso indagini fiscali nei confronti del gruppo, all’esito delle quali “saranno tratte le valutazioni conclusive”.
Rimane da vedere se altri giganti tecnologici seguiranno l’esempio di Google o Apple e altri colossi Hi Tech come Amazon e Ebay continueranno ad applicare il meccanismo di maxi-elusione fiscale ai danni del Fisco italiano.
Noi ci auguriamo la prima ipotesi, ma non speriamoci troppo!
Redazione
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