Drone journalism: si salvi chi può?
Ormai, come avvenne per i cellulari agli inizi del 2000, è nata la mania dei droni: sempre più utenti, privati e pubblici, stanno cominciando ad adeguare i loro stili di vita e le loro attività basandosi sull’utilizzo di questi velivoli di ultima generazione. Abbiamo sentito parlare dei droni progettati da Facebook, oppure di quelli, già in fase di sperimentazione negli Stati Uniti, progettati per le consegne di Amazon. Ma abbiamo anche sentito parlare del drone che, pochi giorni fa, ha ucciso per sbaglio il povero cooperante italiano Giovanni Lo Porto, ostaggio di Al Qaeda dal 2012, morto durante un raid da parte degli USA (a tal proposito, profetico è stato il film Eagle Eye del 2008, in cui assistiamo all’uso improprio dei droni per scopi militari e della punizione per coloro che hanno commesso tali atti da parte di un non precisato individuo dalle fattezze femminili). Quindi, tutta questa frenesia per questi nuovi “giocattoli” quanto può essere giustificata? Siamo certi di percorrere la strada giusta, oppure abbiamo creato l’ennesima arma per la nostra autodistruzione, agendo nuovamente come “dei topi che si costruiscono da soli una trappola per topi”, come affermò Albert Einstein quando riuscì ad inventare la bomba atomica?
In questi ultimi tempi si sta iniziando a parlare di “drone journalism”, ovvero dell’utilizzo di droni in ambito giornalistico per rendere più completi ed avanzati gli articoli e le inchieste da redigere. Un’implementazione così avveniristica che il giornalista americano Lev Grossman l’ha definita come “un cambiamento radicale paragonabile all’avvento di Internet”. Tutto ciò di sicuro è entusiasmante, poiché, grazie al lavoro dei giornalisti coinvolti, molte verità nascoste potrebbero giungere più facilmente a galla (o meglio, relativamente a galla, dato che anche le riprese possono essere tranquillamente manipolate da chi di dovere). Basti pensare al primo uso pratico noto di drone journalism avvenuto a luglio 2014: il giornalista, comico ed autore satirico Nimrod Kamer ha usato un drone a Nassau per intervistare i politici locali ed investigare su uno dei leaks pubblicati da Edward Snowden, secondo il quale l’NSA tiene sotto controllo tutte le telefonate nelle Bahamas. Ma, come per ogni cosa inerente le nuove tecnologie, i dubbi e le perplessità aumentano a dismisura: come possiamo essere certi che i giornalisti che un giorno utilizzeranno i droni per le loro attività rimarranno eticamente e moralmente equilibrati? Chi ci può dare la garanzia che non abuseranno mai di questo “potere”?
A tal proposito, gli USA al momento stanno rivoluzionando i controlli sui velivoli teleguidati, tramite la FAA (Federal Aviation Administration), ma senza alcuna regolamentazione giuridica al momento in programma. Strano ma vero, l’Italia è stata il primo paese a creare un regolamento di utilizzo dei droni, grazie all’E.N.A.C. (Ente Nazionale Aviazione Civile): di fatto, sono nate scuole di piloti di droni e presto sarà previsto un brevetto per poterli utilizzare. Ma, indipendentemente dalle future norme giuridiche in materia, sia negli Stati Uniti che in Italia, per quanto riguarda il drone journalism, i controlli dovranno essere severi. La CNN si sta già accordando col governo statunitense per l’utilizzo dei droni, mentre in Italia si stanno svolgendo varie conferenze di giornalisti, come il Roma Drone Conference, per discutere e decidere di questa spinosa questione.
Di sicuro, molti paparazzi saranno già pronti ad infrangere qualsiasi regola etica e civile pur di ottenere gli scoop tanto agognati, magari anche addentrandosi illecitamente nelle ville di vip vari ed eventuali. Quindi, prima ancora di preoccuparsi, ad esempio, di regole riguardo gli spazi aerei destinati ai droni, il primissimo disegno di legge che si bisognerebbe avallare senza indugi dovrebbe essere quello di reato di violazione della privacy legato all’uso improprio di questi velivoli. Ormai, come ben sappiamo, grazie alle nuovetecnologie siamo costantemente spiati e tenuti sotto controllo per le più disparate ragioni, dunque sarebbe bene evitare anche lo spionaggio di tipo visivo. Ciò, quasi sicuramente, dipenderà sempre e solo dai governi mondiali, ma soprattutto dagli USA e dall’NSA, sperando vivamente che questi ultimi non siano anche un banda di guardoni, oltre che di spioni.
Redazione
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