Diciassette anni fa aveva inizio la rivoluzione culturale di Wikipedia
Oggi, nella sede di Wikimedia Italia a BASE Milano, Wikipedia festeggerà il proprio diciasettesimo compleanno. E ha motivo di brindare: “con più di 45 milioni di voci in oltre 280 lingue, è l’enciclopedia più grande mai scritta, tra i dieci siti web più visitati al mondo e costituisce la maggiore e più consultata opera di riferimento generalista su Internet.”
Questo almeno è ciò che dice Wikipedia di se stessa, in una sorta di circuito paradossale.
Era infatti il 15 gennaio 2001 quando Larry Sanger e Jimmy Wales fecero sorgere Wikipedia dalle ceneri di Nupedia. Alla base di questo enorme tempio della conoscenza ci sono due presupposti che ha rivoluzionato il nostro approccio al sapere. Il primo è un’utopia rincorsa dai tempi dell’Illuminismo: la conoscenza deve essere libera e accessibile a tutti. Questo significa che deve essere gratuita, auto-finanziata e fruibile nel maggior numero di lingue possibili. Ma il presupposto davvero rivoluzionario è che l’utente non sia più visto come un semplice fruitore: chiunque può essere un produttore di contenuti. Questo ha in sdoganato le gerarchie del sapere, perché sia un ricercatore universitario che un autodidatta possono parimenti inserire o modificare le voci dell’enciclopedia virtuale. E questa è la forza e la debolezza di Wikipedia: se da un lato si promuove un approccio profondamente democratico e capillare, dall’altro sarà fisiologico che siano inserite anche imprecisioni o vere e proprie bufale. Il sistema di auto-controllo è infatti inevitabilmente fallace: nel 2015 sono state trovate una quindicina di voci false, alcune rimaste indisturbate sulla piattaforma per moltissimi anni. Il caso più famoso è quello dell’inesistente divinità aborigena Jar’Edo Wens, che dopo aver avuto una voce dedicata per quasi dieci anni ed essere finito anche in un libro sulla storia delle religioni, si è guadagnato un vero lemma su Wikipedia come “longest-lasting hoax article”. Entrando, così, di diritto a far parte del mondo reale.
Inutile, però, puntare il dito contro questa piattaforma che rimane uno strumento quotidiano per la maggior parte di noi. La sua fallibilità è congenita, siamo noi fruitori a sbagliare quando per pigrizia o superficialità le riconosciamo un grado di attendibilità che non potrà mai avere. E se già quasi dieci anni fa Umberto Eco dichiarava di utilizzare Wikipedia con la tecnica dello studioso di professione, cioè consultandola ma preoccupandosi sempre di verificarne le fonti, anche i padri dell’enciclopedia online ci mettono in guardia. Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia, ha dichiarato infatti di recente che “quel che noi cerchiamo non è tanto avere una credibilità come Wikipedia in quanto tale, perché non avrebbe molto senso, ma, piuttosto, dare una mano al lettore, dicendogli dove abbiamo preso le informazioni, quali sono le fonti, eccetera: all’utente è, però, chiesto uno sforzo personale”.
Wikipedia quindi funziona solo se il fruitore non è passivo. E se anche non si fa parte di quell’1% di utenti attivi che si preoccupano di monitorare e inserire voci, è comunque necessario verificare costantemente ciò che leggiamo controllando le fonti e confrontando le informazioni. Insomma, può essere l’occasione per mettere in pratica un modus operandi che diventerà sempre sempre più necessario nell’epoca della saturazione delle informazioni.