Cultura? Sì, grazie!
La scorsa settimana sono andata a vedere un filmetto piuttosto leggero come contenuti di cui non ricordo neppure il nome, lo facevano in uno di questi cinema d’essai poco frequentati che ripropongono film di stagioni passate.
A un certo punto una delle protagoniste di questa pellicola, che è titolare di una libreria storica di Roma, dice questa frase “Si sa, la cultura non paga”.
Mi ha fatto ridere amaramente e riflettere su quanto fosse vero. La cultura paga a livello personale perché accresce il proprio bagaglio di conoscenze, perché dona apertura mentale, dà la possibilità di guardare il mondo da diverse prospettive senza fossilizzarsi in un’unica, ristretta, visuale. Si tratta di un patrimonio personale impareggiabile.
Però, a quanto ci dimostra la nostra società, non paga a livello meritocratico, il più delle volte almeno. Non paga a fini pratici e intendo lavorativi. Sì perché non frega nulla al tuo datore di lavoro che tu sappia a memoria Genova di Dino Campana, che tu sia in grado di leggere con la giusta accentazione il trimetro giambico o che tu abbia la totale conoscenza dell’Opera Omnia di Cesare Pavese.
Nel mondo del lavoro nuotano squali affamati il cui ultimo problema è la spiegazione dell’ultima terzina dantesca. Capita allora, per chi ha fatto studi umanistici soprattutto ma anche per chi si è acculturato nel silenzio di casa sua per proprio piacere, che ci si chieda: ma quindi, chi me lo fa fare?
Quello che penso io, nonostante a volte lo sconforto capiti anche a me nel vedere persone poco competenti andare avanti – non certo per meriti – a discapito di altre persone decisamente più valide, penso che nonostante tutto mi piace conoscere la drammaturgia pirandelliana, mi piace essere a conoscenza di cosa è accaduto durante i moti del 1848, mi piace aver letto l’intera opera teatrale di Molière o il pensiero filosofico dei sofisti.
Anche se sono nozioni con le quali non ci costruirò una carriera, forse, lo stesso mi piace imparare cose nuove, mi piace sapere l’incipit del mio romanzo preferito a memoria, mi piace sorridere cogliendo l’ironia delle poesie di Palazzeschi o bearmi della bellezza dei versi leopardiani. Non per farne sfoggio, ma per custodirla come un tesoro.
E per avere questo piacere non si deve certo essere laureati o aver fatto chissà quali master o frequentato prestigiose università, la cultura è molto più alla mano di quanto si pensi, è un’oasi di pace in mezzo al caos dell’ignoranza e della presunzione.