Come gli studi di Hendrix sono sopravvissuti alla crisi
Nel caso in cui dieci anni fa ci fossimo recati nel quartieredei Greenwich Village a New York nell’intento di ammirare gli Elctric Lady Studios − fondati nei primi anni settanta da Jimi Hendrix – una volta individuato l’ingresso in una porta ovale a specchio, stretta tra una clinica medica, un negozio di yogurt e un ufficio di collocamento, saremmo stati respinti da una lucchetto. Gli studi che prendevano il nome dall’album Electric Ladyland dei The Jimi Hendrix Experience erano in quel periodo in uno stato di dismissione, ormai da diversi mesi non c’era stata nemmeno una prenotazione da parte di alcuna band.
Il 26 agosto 1970 gli Electric Lady Studios venivano innauguratida artisti quali Eric Clapton, Ronnie Wood, Steve Winwood e Patti Smith, gli stessi che poi ne saranno abituali frequentatori. Patti Smith nel suo libro di memorie intitolato Just Kids racconta di come, in quello stesso giorno, Jimi Hendrix gli confidasse di aver immaginato lo studio come un luogo in cui artisti di ogni estrazione avrebbero registrato “il linguaggio astratto e universale della musica”. Purtroppo da lì a tre settimane Hendrix sarebbe deceduto a soli 27 anni in un appartamento di Londra per aver ingerito un eccesso di barbiturici.
Tuttavia il sogno di Hendrix si sarebbe comunque realizzato. Infatti, quel locale progettato con linee curve, luci multicolore e murales sgargianti, tanto da ricordare una capsula spaziale psichedelica, avrebbe ospitato band di ogni genere e tra quelle più famose ricordiamo Led Zeppelin, Stevie Wonder, Lou Reed, i Rolling Stones e i Kiss, solo per citarne alcune. Non è possibile poi non raccontare di quando John Lennon e David Bowie alla fine di una passeggiata si ritrovarono a registrare assieme un brano improvvisato intitolato Fame che sarebbe divenuto poi singolo numero uno per l’album Young Americans di David Bowie del 1975. Nello stesso anno Patti Smith avrebbe registrato il suo album d’esordio intitolato Horses, mentre i Kiss davano alla luce il loro terzo album Dressed to kill. Nei successivi trent’anni alcune band tra le più famose, quali AC/DC, i Clash, Billy Idol continuarono a servirsi degli Elettric Lady Studios amplificandone la fama.
A seguito della rivoluzione digitale iniziata da Napster nel 1999, il mercato discografico entrava in crisie gli Electric Lady Studios, complice anche una gestione deficitaria, versavano in uno stato di abbandono. Alcune foto di Hendrix giacevano dimenticate in sacchetti di plastica, un antico calendario divelto e l’ingresso bloccato. Nel 2003 i Radiohead dovevano eseguire due performance live nello studio A, la seconda poi sarebbe stata trasmessa via radio. All’improvviso il collegamento alla rete collassò e non era più possibile mandare in onda lo show. Solo grazie alla caparbia e all’inventiva di Lee Foster, che in quel periodo era un tecnico di studio, è stato possibile trasmettere per tempo il live alla radio. Lo stesso Foster qualche anno dopo diverrà studio manager rilanciando gli Electric Lady Studios per restituirgli l’antico splendore.
Malgrado un periodo buio relativamente breve gli studi di Hendrix sono sopravvissuti fino a celebrare il 45° anniversario con una serie di concerti che vedranno Patti Smith a dare il via alle esibizioni. Il segreto di questa longevità è ben descritto in un’intervista rilasciata nel 2010 al New York Times dall’ingegnere del suono Eddie Kramer – uno dei tecnici più apprezzati dallo stesso Hendrix – che così racconta: “In una parola: vibe. Abbiamo voluto ottenere un ambiente in cui Jimi Hendrix potesse totalmente rilassarsi e creare la musica che più desiderava.”
Se oggi fosse possibile spiare oltre la porta ovale potremmo osservare Bono e Adele che si intrattengono in chiacchere con il personale oppure ammirare Jay Z intento a danzare sul tetto con la mamma di uno degli ingegneri del suono. L’antica atmosfera magica e sognante degli Electric Lady Studios delle origini miracolosamente sopravvive quindi ai nostri giorni.
Redazione
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