Chiamare le cose col proprio nome: la differenza tra profugo, rifugiato e richiedente asilo
In Italia oggi c’è la cattiva abitudine, anche da parte dei media, ad utilizzare indistintamente i termini profugo, rifugiato, immigrato. Altrove ho sottolineato come anche la trasmissione televisiva “Le Iene” abbia utilizzato indistintamente questi termini. Ma queste parole non sono affatto sinonimi e raccontano storie molto diverse tra loro.
Profugo è chi è costretto “ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi”. I poveri siriani che scappano dalle proprie case a causa dell’arrivo dell’Islam più radicale sono profughi. Il romeno, che venga a rubarti in casa o ad aggiustarti una finestra, non lo è.
Un rifugiato politico, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 è colui che scappa dal proprio Stato in quanto perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche. Se i profughi siriani arrivati in Italia fanno richiesta, possono diventare rifugiati politici. Un marocchino non è di certo un rifugiato.
Un richiedente asilo è invece un immigrato o un profugo che ha fatto domanda e che è in attesa di sapere se gli verrà dato lo status di rifugiato.
Gli altri sono immigrati. Che se non hanno il permesso sono clandestini. Il senegalese che ti vende, abusivamente, le borse di Prada in spiaggia non è un profugo, nè un rifugiato. Come non lo è il pakistano o il cingalese che ti vuole vendere dei laser in piazza.
Trattare chiunque si presenta in Italia e in Europa allo stesso modo sarebbe impossibile, oltre che probabilmente ingiusto. Perché ospitare temporaneamente chi scappa dalla guerra non è equivalente ad aprire le proprie porte a qualunque migrante, che sia qui a cercar lavoro o a spacciare coca.
Ecco che allora fare ecologia del proprio lessico aiuta a vedere meglio le situazioni ed a trovare le giuste soluzioni.