Bucarest, specchio d’Oriente

Parte da questa settimana uno spazio dedicato ad interviste con personalità della Romania e della Bucarest culturale. Sarà anche una scoperta di professioni che spesso si danno per scontate e che raramente vengono messe in risalto, specie in questi tempi in cui il settore culturale e artistico in senso lato sta attraversando una profonda crisi, in Romania come altrove.

La prima intervista è stata condotta nel mese di settembre a Bucarest, presso il Museo Nazionale d’Arte della Romania (MNAR), prendendo spunto dalla mostra in corso in quei giorni, Specchi d’Oriente. Pittura e grafica dalle collezioni del Museo Nazionale d’Arte della Romania. 1850-1950. La mostra si è chiusa ai primi di ottobre, cosa che potrebbe in apparenza rendere superflua o tardiva la presente intervista. Tuttavia, riteniamo che il pubblico lettore possa trovare in quest’ultima, oltre alle notizie sulla mostra, informazioni e richiami interessanti sulla cultura e l’arte romena. Decidiamo pertanto di pubblicarla in ogni caso.

Nella mia modesta posizione di non specialista, ma appassionata di arte, reputo la mostra un vero e proprio gioiello, tra i migliori eventi culturali che la capitale romena abbia offerto negli ultimi anni. Tuttavia, come spesso avviene in un Paese ancora impegnato a risollevarsi dai postumi del regime (anche se scoccano a breve i 27 anni dalla caduta del regime e i 10 dall’adesione all’UE!), capita che gli “oggetti di valore” di casa propria passino quasi inosservati, o captino l’attenzione di pochi, sparuti ambienti di aficionados.
Eppure il MNAR è il museo più grande e importante della Romania. Il Palazzo Reale della Calea Victoriei, grande arteria stradale del centro cittadino, ne ospita l’edificio principale, dove sono conservate le più ricche collezioni d’arte romena medievale (XIV-XIX secolo), moderna (XIX-XX secolo), europea, di arti decorative e d’arte orientale presenti nel Paese. Oltre ad offrire numerose mostre temporanee, il MNAR comprende anche i cosiddetti “musei satellite” (Museo delle Collezioni d’Arte, Museo K.H. Zambaccian, Museo Theodor Pallady). Tra gli artisti che si possono incontrare visitando le sale del Museo, vi sono Grigorescu, Brâncuși, DomenicoVeneziano, Tintoretto, Cranach il Vecchio, Rubens, Rembrandt, El Greco, Monet.

Specchi d’Oriente (Oglinzile Orientului) è stata dunque una mostra-gioiello in un museo che è un gioiello di per sé, uno scrigno di infinite bellezze e luoghi da scoprire, in continuo rinnovamento e che non ha nulla da invidiare ai suoi omologhi europei o transatlantici. Ha riunito una selezione di oltre duecento quadri e disegni del patrimonio MNAR e del Museo delle Collezioni d’Arte, nonché una raccolta di oggetti di arte decorativa (specchi, monili, mobili, tappeti) e abiti.

La mostra è stata intesa come risposta all’interrogativo: si può parlare di orientalismo nella storia dell’arte romena, come per altri Paesi europei? Per orientalismo nell’arte europea si intende non solo la rappresentazione realistica di paesaggi, personaggi e altri soggetti orientali, ma anche la tendenza ad imitare tipi, fogge, usi orientali. Si tratta di un vero e proprio paradigma artistico che, afferma la curatrice Elena Olariu nelle prime pagine del catalogo, “si sviluppa in parallelo con quello occidentale, su un fondale di nostalgia per epoche tramontate, in particolare quella fanariota, ma anche nel contesto delle consistenti comunità di turchi, tartari, armeni presenti nella regione della Dobrugia, nelle località danubiane o nel Quadrilatero, nel periodo in cui esso fece parte della Romania”. La Romania, ci preme ricordarlo, ebbe “l’Oriente dentro casa” dalla conquista ottomana di Costantinopoli fino alla seconda metà del XIX secolo, quando, a seguito della guerra russo-turca cui prese parte, si rese definitivamente indipendente dall’Impero Ottomano (1878). È proprio tale passato di dominazione turca, unito alla posizione geografica che la colloca tra Oriente e Occidente, a rendere l’arte romena impermeabile a modelli culturali di ispirazione orientale e, allo stesso tempo, a rendere il suo orientalismo nell’arte unico nel suo genere.

Le protagoniste dell’intervista sono Mariana Vida, curatrice insieme a Elena Olariu della mostra Specchi d’Oriente, e Marina Vazaca, traduttrice e redattrice presso le Edizioni MNAR, dunque del prezioso catalogo della mostra firmato dalle colleghe.

Eccomi dinanzi all’ingresso. Sopra la mia testa troneggia un tappeto volante bianco, installazione di due artisti contemporanei. Dietro un’indovinata porta dai motivi orientali, mi aspetta Mariana Vida, che mi porta alla scoperta della mostra.

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Mariana Vida: tra Oriente e orientalismo

Come è nata l’idea di dedicare una mostra all’Oriente nell’arte romena?

Abbiamo deciso di occuparci del tema dell’orientalismo, in primo luogo perché nella storia dell’arte romena non è stato approfondito in maniera sistematica. Studiando alcuni oggetti presenti nella sezione di disegni e incisioni e le nostre collezioni di immagini, abbiamo constatato che tra gli orientalisti europei vi sono molti artisti romeni. Allora abbiamo raccolto il materiale analizzato e siamo giunti alle conclusioni che può vedere con i suoi occhi. Ora, non bisogna confondere l’arte orientale con l’arte orientalista. L’orientalista è un artista che si occupa di temi attinenti all’Oriente, appartenente a diverse epoche e aree geografiche. Nel XIX secolo i romeni si comportarono allo stesso modo dei loro colleghi europei, ovvero adottarono motivi orientalisti ricercandoli soprattutto fuori del loro Paese e compiendo viaggi ovunque nel mondo. Poi, nel XX secolo, mutarono orientamento e concezione, guardando all’orientalismo “di casa propria”, ovvero all’influenza orientale che l’Impero Ottomano aveva lasciato qui, nelle Terre Romene. Dopo la Grande Unione del 1918, fu soprattutto la scoperta di Balcic con la sua civiltà arcaica e pittoresca a suscitare il loro interesse.

La selezione di opere che avete scelto di esporre appartiene a un periodo storico in particolare?

No, non riguarda un’epoca specifica, ma di sicuro si innesta sul tema delle migrazioni che ha catturato l’interesse dell’opinione pubblica negli ultimi anni. Direi che è stata un’occasione per mostrare che, in realtà, nelle Terre Romene prima e in Romania poi, ci si è accostati a questi motivi orientali con un atteggiamento privo di ostilità: essi fanno parte del sostrato stilistico di una componente importante dell’arte romena. Per quanto riguarda l’allestimento della mostra, abbiamo voluto separare il mondo per così dire “europeo” mediante questa porta monumentale dai motivi orientaleggianti, dalla quale si entra in un mondo diverso, un mondo che stiamo cominciando pian piano a comprendere e ad apprezzare.

Dunque, l’Oriente è un elemento rilevante nella tradizione artistica della Romania. Perché questo titolo, Specchi d’Oriente? Come l’avete scelto?

La storia del titolo prende spunto dalle immagini del pittore Theodor Aman, che si recò in viaggio a Costantinopoli verso la metà del XIX secolo e ne tornò con un intero “corredo” orientale. Tra i vari oggetti, figuravano mobili incantevoli, come uno specchio con intarsi di madreperla, presente anche in altri soggetti orientali, che Aman dipinse in abbondanza. Specchi d’Oriente richiama allora, se vogliamo, la maniera in cui questi motivi e tematiche orientali si riflettono nell’arte romena. Così è nato il titolo.

Diamo uno sguardo alle somiglianze con l’orientalismo occidentale. Lei ha già detto che esiste un orientalismo di matrice romena. Quali sono le differenze tra orientalismo e temi orientali nell’arte romena, o nell’arte in generale?

Alcuni artisti europei (francesi, viennesi, tedeschi) si concentrarono esclusivamente sulla rappresentazione di motivi orientali, erano specializzati in temi orientalisti. Da noi in Romania, invece, nessun artista promosse l’orientalismo in maniera esclusiva. Esso venne assimilato e poi illustrato a seguito di viaggi, di un interesse speciale. C’erano artisti che in estate si recavano a Balcic (sul Mar Nero, odierna Bulgaria) – mi riferisco alla metà del XX secolo ˗ dove trascorrevano la maggior parte delle vacanze e allora, per forza di cose, venivano colpiti dal fascino di quei luoghi pittoreschi e si mettevano a dipingere. Furono in molti, come ad esempio Carol Pop de Szathmári nel XIX secolo, che viaggiava alla ricerca dei luoghi atavici dei magiari, o semplicemente per curiosità. Fu uno dei primi fotoreporter di guerra, fu anche in Crimea, lavorava facendo dei rapidi schizzi sul posto, che poi completava nel suo atelier. Naturalmente il dipinto perdeva l’esuberanza e l’immediatezza che aveva saputo imprimergli all’inizio. Ad ogni modo, può essere considerato un pittore di motivi orientalisti.

Riguardo a questa mostra, il critico Radu Comșa, in un articolo per Observator Cultural, ha affermato che l’elemento orientale pare essere “parte del genoma culturale romeno”. È vero? È un aspetto che vi ha ispirato durante la preparazione?

Sì, certamente, e forse una componente interessante è proprio la prima parte della mostra, in cui abbiamo tentato di stabilire un rapporto tra il passaggio dall’atmosfera orientale tipica del periodo fanariota, quando le famiglie nobiliari greche regnarono sulle Terre Romene, agli eventi successivi alla rivoluzione del 1848, dunque la modernizzazione culturale. È chiaro che essa fa parte del sostrato di questo orientalismo. Theodor Aman, ad esempio, durante una visita in Francia ebbe modo di constatare che moltissimi artisti locali compievano viaggi in Oriente per ispirarsi a motivi orientali. Fu allora che si rese conto di avere l’Oriente a casa propria, in Romania: bastava che uscisse in strada, dove vedeva passeggiare donne abbigliate secondo il gusto orientale, boiardi che erano rimasti fedeli alle tradizioni e vestivano alla moda di Costantinopoli. Riuscì dunque, in qualche modo, a portare i temi autoctoni sulla scena europea, pubblicando tutta una serie di incisioni con soggetti ispirati al mondo orientale bucarestino.

Theodor Aman: Interno di serraglio, 1863. Olio su tela.

Theodor Aman: Interno di serraglio, 1863. Olio su tela.

Theodor Aman: Odalisca distesa, 1885. Olio su legno.

Theodor Aman: Odalisca distesa, 1885. Olio su legno.

Gli artisti le cui opere sono qui esposte sono stati scelti in base a quale principio? C’è un ordine cronologico, o di altro tipo?

Le collezioni del nostro Museo sono molto ricche in quanto a soggetti orientalisti. Le opere esposte sono solo una piccola parte di quel che si sarebbe potuto rappresentare in più mostre della medesima ampiezza. Abbiamo dovuto limitarci agli artisti rappresentativi sia dell’arte romena che dei motivi orientalisti (per essere più precisi!). Sono esposti in ordine cronologico; nel catalogo vengono presentati con un breve commento di quelle opere che evocano anche la tematica orientalista. Va da sé che sono presenti sezioni tematiche: determinati viaggi, determinate direzioni che l’arte romena privilegia nell’ambito dell’orientalismo, nel contesto tanto vasto e generoso dell’orientalismo europeo.

C’è un artista in particolare che predilige rispetto ad altri, o forse un gruppo di artisti?

In generale, amo tutti gli artisti selezionati, tanto del XIX quanto del XX secolo, le due grandi categorie in cui si articola la mostra. Forse nel XX secolo, periodo che ho curato in prima persona, prediligo due artisti in particolare, Iosif Iser e Alexandru Szathmári, che hanno avuto un ruolo essenziale nella scoperta dell’esotismo di Balcic. Nel secolo XIX, preferisco l’opera di Carol Pop de Szathmári, grande acquarellista e viaggiatore, un artista dalla vena romantica, direi, che nei dipinti evoca molti dei viaggi compiuti in Oriente, che amava profondamente. Qui, ad esempio, è esposto un ritratto di sua moglie, abbigliata in costume da albanese. Era sempre alla ricerca di capi d’abbigliamento particolari, faceva fotografie, aveva costituito un’intera riserva di immagini sull’Oriente. Sono cose di cui si parla poco negli studi europei sull’orientalismo. Ecco perché speriamo che la nostra mostra, unitamente al catalogo che abbiamo composto, rappresenti un argomento a favore dell’assimilazione dell’orientalismo romeno nella gran massa degli orientalismi europei, e non solo. Abbiamo scoperto con piacere che anche a Costantinopoli, in Grecia e in Bulgaria sono vissuti artisti orientalisti. Dunque quest’area balcanica dovrebbe essere davvero rivalutata e riconsiderata.

Carol Pop de Szathmari: Ritratto della moglie dell

Carol Pop de Szathmari: Ritratto della moglie dell’artista in costume albanese, 1858-1860. Olio su tela.

Carol Pop de Szathmari: Strada di Costantinopoli, 1866-1868. Matita e acquarello.

Carol Pop de Szathmari: Strada di Costantinopoli, 1866-1868. Matita e acquarello.

Iosif Iser: Paesaggio della Dobrugia con cinque donne turche, 1916-1918. Olio su tela.

Iosif Iser: Paesaggio della Dobrugia con cinque donne turche, 1916-1918. Olio su tela.

Iosif Iser: Vista di Istanbul: Santa Sofia, 1919. China e lavis su carta incollata su cartone.

Iosif Iser: Veduta di Istanbul: Santa Sofia, 1919. China e lavis su carta incollata su cartone.


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’orientalismo romeno appartiene dunque alla grande famiglia dell’orientalismo europeo. Ci sono in questa mostra somiglianze o paralleli con altre mostre? Vi siete ispirati ad altre mostre o musei d’Europa?

Certo, mentre lavoravamo abbiamo avuto in mente altre mostre, per vedere con quali criteri e argomenti hanno operato altri studiosi prima di noi, ma nel nostro caso le cose si sono stratificate da sole. Infatti l’organizzazione cronologica ha fatto sì che ciascun artista si distinguesse nel proprio campo, a seconda dell’epoca, della peculiarità e dell’atmosfera culturale e stilistica propria di quell’artista.

La mostra ha aperto le porte a maggio. Come è stata accolta dai visitatori?

È stata accolta con molto interesse, a nostro parere. Senza false modestie, abbiamo avuto anche due eventi molto interessanti, un concerto di musica orientale che si è svolto nell’atmosfera di queste opere meravigliose, e una sfilata di moda ispirata agli abiti tradizionali orientali, in collaborazione con la sezione di Moda e Design dell’Università d’Arte di Bucarest. Eventi che hanno ricevuto l’apprezzamento del pubblico.

La stampa come ha reagito? Ci sono state recensioni?

La stampa, purtroppo, è stata un po’ meno reattiva. Negli ultimi anni le recensioni sulle mostre allestite dal nostro museo, e non solo dal nostro, si sono ridotte significativamente. È un problema che colpisce la vita culturale in generale. Ci sono state delle segnalazioni vaghe, o anche il contributo di Ioana Vlasiu, che commenta regolarmente i nostri cataloghi e le mostre, ma per un pubblico molto limitato, come quello della Rivista dell’Istituto di Storia dell’Arte, o in altri luoghi ai quali il grande pubblico non ha accesso. Purtroppo, i media, la televisione o la radio non ci hanno contattato. Dico purtroppo, perché è una mostra che avrebbe meritato una pubblicità maggiore, ma la pubblicità costa, il Museo ha risorse limitate e… così stanno le cose. Speriamo, tuttavia, che il catalogo che abbiamo preparato sulla mostra diventi un impulso per studi ulteriori sul tema e possa spiegare al pubblico interessato all’arte orientalista qual’è la concezione alla base di Specchi d’Oriente, e la nostra opinione al riguardo.

Certo! A mio parere, infatti, questa è una mostra che meriterebbe di girare l’Europa.

Sì, sarebbe senz’altro un’ottima idea, ma non so in che modo potrebbe essere realizzata.

Perché il visitatore dall’estero dovrebbe venire a vedere questa mostra, e perché dovrebbe venire il visitatore romeno?

Il visitatore dall’estero dovrebbe venire a vederla per completare l’immagine dell’orientalismo che ha potuto ammirare in altre mostre o musei, che hanno forse delle sezioni apposite. Quindi integrare le sue conoscenze con questa prospettiva tipica dell’orientalismo romeno e, perché no, balcanico in un certo qual modo. Mentre il visitatore romeno penso che potrà stupirsi dalla grande quantità di immagini e composizioni che l’arte romena ha realizzato, cosa di cui forse non era consapevole a questi livelli.

Balcic (Балчик). Castello della Regina Maria.

Balcic (Балчик). Castello della Regina Maria.

Balcic (Балчик). Giardini del Castello.

Balcic (Балчик). Giardini del Castello.

Torniamo a Balcic, importante luogo di creazione artistica, essenziale nella cultura romena e legato alla memoria della Regina Maria. Chi ci legge forse non sa di cosa stiamo parlando. Cosa rappresenta Balcic?

Balcic ha già una bibliografia piuttosto ricca. La direttrice del Museo di Costanza si è occupata in maniera sistematica di Balcic e dei motivi marini nella pittura romena. Al tempo della Regina Maria, Balcic era divenuta una località prospera proprio grazie a lei, grazie al fatto che lei vi aveva fatto costruire un piccolo castello con minareto, tutto secondo lo stile del luogo, e uno splendido giardino di cactus, con fiori e piante incantevoli. Anche questo è stato un impulso per molti pittori, che in quella zona ricevettero diversi terreni. Ci fu un sindaco particolarmente capace, il sindaco Moșescu, che seppe sostenere gli artisti, i quali poterono acquistare il terreno e costruirvi delle case. Uno dei primi a farlo fu Alexandru Szathmári, una sorta di pioniere di Balcic. Sua moglie, Ortansa Szathmári, era la sorella della pittrice Cecilia Cuțescu-Storck, importante personaggio della Romania culturale interbellica, la quale acquistò un terreno per erigervi una villa suggestiva che esiste ancora oggi ma che, a quanto sembra, è in stato di abbandono e degrado. La pittrice stessa ritrasse molti interni ed esterni di questa casa, uno degli affreschi coglie persino i suoi ricordi di allora, di quando parlò con l’architetto, di quali materiali utilizzarono e così via. Tra gli artisti c’era una sorta di emulazione: NicolaeTonitza andava a Balcic tutte le estati, Ștefan Dimitrescu, Iosif Iser, e molti altri se ne innamorarono letteralmente, come anche Jean Alexandru Steriadi, che a Balcic lavorò moltissimo. Fu un periodo in cui la località godé di grande prestigio. Durante la guerra, purtroppo, la sua notorietà si ridusse.

Balcic (Балчик). Villa Storck.

Balcic (Балчик). Villa Storck.

Nicolae Tonitza: Paesaggio con minareto a Balcic, 1935-1936. Olio su cartone.

Nicolae Tonitza: Paesaggio con minareto a Balcic, 1935-1936. Olio su cartone.

Vorrebbe aggiungere altro a questo fantastico excursus?
Resta questo rimpianto, che purtroppo non si sia riusciti a fare pubblicità alla mostra in maniera più organizzata. Speriamo che in futuro le nostre iniziative riescano a godere maggiormente dell’attenzione dei visitatori.

Marina Vazaca: il lavoro del redattore

In quanto redattrice, qual è stato il suo ruolo, la sua esperienza in questa mostra? Che ruolo hanno i redattori che lavorano per le Edizioni MNAR, o in generale per la casa editrice di un museo? Qual’è la differenza con gli omologhi di altri paesi, e con i redattori delle case editrici più“visibili”?

Da quando sono redattrice presso le Edizioni MNAR, quasi ogni esperienza rappresenta un’esperienza unica. Mi considero una spettatrice privilegiata che ha accesso al “laboratorio” e alle quinte della mostra in allestimento, divenendo testimone e compagna di viaggio degli organizzatori. Mi riferisco in primo luogo al modo in cui una mostra viene trasposta nel suo catalogo. Preciso, tuttavia, che allo MNAR, come in qualsiasi altro grande museo, il lavoro di documentazione si traduce anche in pubblicazioni meno appariscenti come i repertori di collezione, ma essenziali per lo studio del patrimonio artistico e la pubblicazione dei dati. Tornando alla domanda: il progetto della mostra Specchi d’Oriente in un primo momento mi lasciò perplessa, poiché so troppo bene che, volens nolens, la parte del mondo in cui ci troviamo, soprattutto per motivi storici, è stata in qualche modo sempre assimilata all’Oriente. Dunque mi sono chiesta: come porre la questione dell’orientalismo nell’arte, quando, secondo un cliché diffuso, noi ci troviamo già alle porte dell’Oriente? Non sono stata l’unica a pormi questa domanda. Ebbene, le due curatrici della mostra, Mariana Vida ed Elena Olariu, hanno saputo dare un’elegante dimostrazione di come l’Oriente viene percepito dalle porte d’Oriente. È stato dunque un grande piacere conoscere da vicino la loro iniziativa, appoggiandone il carattere coraggioso, poiché sì, ci sono voluti molto coraggio e tenacia per dimostrare che si può parlare di orientalismo anche nell’arte romena della seconda metà del XIX secolo e della prima metà del XX, che esiste un orientalismo romeno perfettamente consonante con quello dell’arte francese, ad esempio.

Non credo che vi siano differenze tra un redattore che lavora per le pubblicazioni MNAR e un suo omologo di un altro Paese. Lo dico per esperienza personale, poiché ho collaborato più volte con Réunion des Musées Nationaux lavorando sui cataloghi delle mostre che MNAR ha realizzato in partenariato con i musei francesi. Il lavoro sul testo è del tutto simile al nostro, così come la collaborazione con gli autori. Se una differenza c’è, è senz’altro di ordine quantitativo: nei grandi musei europei tutto accade su una scala molto più ampia, i gruppi di lavoro sono più numerosi, le pubblicazioni più numerose, le mostre hanno grande portata e un impatto molto maggiore… Riguardo alla redazione dei testi di storia dell’arte, certo, si tratta di una specializzazione e sarebbe forse ideale che anche i redattori che operano in questo campo fossero storici dell’arte. Ma l’esperienza mi ha dimostrato che una buona formazione filologica e letteraria garantisce un rigore più elevato, una maggior precisione nello strutturare le argomentazioni e nell’espressione. Pertanto, sotto questa prospettiva il redattore filologo può essere di ausilio allo storico dell’arte. Penso inoltre che sia il primo rappresentante del pubblico potenziale di una data mostra e del relativo catalogo, offrendo così allo specialista un primo feedback, che vale la pena prendere in considerazione.

Nella foto, da sinistra: Elena Olariu, Mariana Vida, Marina Vazaca

Nella foto, da sinistra: Elena Olariu, Mariana Vida, Marina Vazaca

Auspichiamo che la mostra Specchi d’Oriente possa essere la prima di una serie di mostre dedicate all’orientalismo in Romania e suscitare l’interesse di istituti e musei esteri, portando a nuove collaborazioni e partenariati. Sarebbe interessante, per cominciare, ospitarla in un museo italiano, coinvolgendo gli enti culturali di entrambi i Paesi. Nell’attuale panorama europeo, in cui assistiamo a nuove ondate migratorie provenienti da Oriente, con una conseguente compenetrazione di modelli e influenze culturali, potrebbe rivelarsi un efficace strumento di promozione e comprensione interculturale.

Intervista realizzata da Anita Bernacchia ©
Bucarest, settembre/ottobre 2016