Big Eyes, la galleria di personaggi pop-art di Tim Burton
Quando sto per andare a vedere un nuovo film di Tim Burton sono colta da una strana euforia, per capirci la stessa di quando da bambina i miei genitori mi annunciarono che saremmo andati a Disneyland. Per i giorni a venire non feci che fantasticare su quel mondo artificiale e lontano dalla realtà, che a breve si sarebbe materializzato davanti ai miei occhi. Si, io rientro in quella categoria (presumo innumerevole) di persone che considerano Tim Burton come una specie di santone buddista da venerare, una figura mistica dalle doti immaginative e sensoriali soprannaturali. Senza uscir fuori di metafora, Big Eyes è stato come fare un giro sulle montagne russe senza andare mai a testa in giù.
Nei primi anni Novanta, molto prima che pensasse di fare un film su Margaret Keane, Burton aveva viaggiato nel nord della California per commissionare all’artista un ritratto.“I went and visited her just because I was a fan,” ha dichiarato il regista. “The work was very present in the culture I grew up in. There’s something really creepy about it — this may have to do with it being at my grandmother’s house or the doctor’s office….It was very suburban art. Thathad impact on me.” Quella donna e la sua incredibile storia nutriranno la fantasia di Burton, diventando a distanza di molto tempo protagonisti del suo immaginario.
Siamo nella San Francisco degli anni Cinquanta, la giovane pittrice Margaret (Amy Adams) dipinge dei meravigliosi bambini dai grandi occhi languidi. Un giorno, ad un mercatino d’arte incontra fortuitamente l’estroverso Walter Keane (ChristophWaltz), presunto pittore della scuola francese, e se ne innamora perdutamente. Walter è avido di successo e comincia a vendere i quadri della moglie a suo nome, perché sostiene: “l’arte delle donne non interessa e dunque non vende”. Ossessionato dal falso impero che si è meschinamente costruito, Walter intrappola la pittrice in un vortice di frustrazione e asservimento. La dinamica tra i due non è ovvia come potrebbe sembrare, infatti non si riduce mai al semplice gioco vittima-carnefice. Walter ha disperato bisogno di essere adorato per un talento che non ha, e questo lo rende un personaggio per certi versi tragico, mentre Margaret sacrifica se stessa nella convinzione di riuscire un giorno a trovare la realizzazione che merita. Entrambi sono naif quanto basta per meritare un posto nella galleria dei personaggi “burtoniani”.
Sullo sfondole brillanti immagini pop-art che racchiudono la vivacità degli anni Cinquanta e Sessanta, l’ironia che si insinua nel dramma ed il tema dell’autodeterminazione questa volta tutto declinato al femminile.
Dopo Ed Wood (con il quale condivide anche gli stessi sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski) Big Eyes è il secondo film autobiografico del regista statunitense.
A metà tra una commedia esasperata e la tensione di un dramma domestico, la narrazione è lineare e snella scandita dal ritmo degli eventi che non lasciano spazio a slanci immaginifici e fronzoli. Insomma un Tim Burton che sembra essersi spogliato dei panni da eterno bambino per abdicare all’età adulta.
Grande escluso dagli Oscar, Big Eyes ha conquistato una statuetta ai Golden Globe per la miglior interpretazione femminile in una commedia o musical ed è candidato ai BAFTA Film Awards nelle categorie “Migliore attore protagonista” (Amy Adams) e “Migliore scenografia” (Shane Vieau, Rick Heinrichs),
Del santone Tim Burton rimane ben poco, forse solo i colori vivaci (una scelta paradossalmente nuova) e quei sproporzionati occhioni malinconici delle opere di Margaret. Burton sta a Big Eyesun po’ come i trovatelli dipinti stanno a Keane, con una sola differenza: che in questo caso i dubbi sulla paternità restano.
Francesca Bianchini
Nata a Roma 24 anni fa , ho origini lucane. Mi sono laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli di Roma con una tesi in Diritto dei Media. Ho collaborato con la rivista on-line ”Ciao Cinema” e con giornali universitari. Guardo al futuro con gli occhi del viaggiatore avido di esplorare nuove mete. La prima tappa del mio percorso professionale è in Sky Italia, per la quale sto attualmente lavorando. Trovo rifugio nel cinema e nell’arte e gli sono devota per avermi insegnato che la realtà non è solo frutto della percezione, e che dietro ogni bellezza c’è poesia.