Art in Pills: Il pianto di una bimba nella pittura di Luigi Da Rios
Il fascino della pittura è quello di poter raccontare attraverso forme e colori scene di vita quotidiana e oggi lo vorrei fare grazie al dipinto di Cossa gastu fato? del veneziano Luigi Da Rios. Il dipinto è un olio su tela, realizzato nel 1878, oggi di proprietà della collezione della famiglia Da Rios.
La tela, come già annunciato, è un scena di vita quotidiana veneziana. In essa la luce calda irradia dalla nostra sinistra portando l’occhio di chi guarda a vedere l’interno di una casa, anzi di un portone, molto povera e umile, dove ci sono una bambina e un donna.
Le due, con molto probabilità, sono madre e figlia. Osservando la bimba, notiamo che indossa abiti popolani e ciò che la mette in evidenza è la giubba rossa che veste e che esalta i capelli biondi un po’ arruffati, i quali fanno da cornice ad un visino piangente disperato.
Le gote sono rosse, la boccuccia ha un smorfia di paura e spavento e la manina sinistra strofina l’occhio, mentre il braccino destro indica qualcosa, o qualcuno, all’esterno che l’ha, forse, spaventata.
In realtà la piccoletta potrebbe anche avere combinato qualche pasticcio, ma non lo possiamo sapere, in quanto il pittore si concentra sulla scena in interno dove il pianto si svolge e dove la bimba si è recata per avere consolazione.
Accanto a lei una giovane donna con i capelli neri, (forse la madre) che ha abbandonato il proprio lavoro sulla sedia (un velo di pizzo) per prestare attenzione alla bambina. La figura adulta si china verso la piccola domandandole: “Cossa gastu fato?” ossia “Cosa hai fatto?” o “Cosa è successo?”
Una domanda scatenata di certo dal pianto dirotto della bambina che ha attirato la sua attenzione. La donna muove le mani in modo concitato, proprio per capire dalla bambina cosa è accaduto. Anche lei indossa vesti semplici, dai color sgargianti simili a quelli della bambina ma disposti in modo inverso.
La bimba ha la gonna color ocra, con un grembiule bianchiccio e sporco. Le gambette sono rivestite da calzine bianche e ai piedini ci sono scarpette nere. Sopra, il corpicino è rivestito da un giubbetto rosso. La donna adulta ha una gonna lunga bianca sopra la quale c’è un panno rosso scuro (terra di Siena direi) con disegni giallo dorati. Il corpo, nella parte superiore ha una casacca colo ocra scuro e attorno al collo uno scialle bianco e azzurro che richiama le ghette color ottanio sulle scarpe nere.
Attorno un’ambientazione molto umile che fa capire le origini non ricche delle due protagoniste della tela. Il pavimento è in mattoni di cotto. Le porte che si intravedono hanno una rifinitura rozza e sono rovinate. Per esempio l’anta verde sulla nostra sinistra, nella sua parte bassa manca di colore, in altri punti presenta delle scheggiature che ci fan capire come siano venuti a mancare dei pezzi di legno.
Nella parete di fondo c’è una porta più scura con una gradino di legno che la precede e anche essa non presenta diversi difetti. Se notate vicino i cardini ci sono delle strisciature bianche, come se nel tinteggiare la parte di bianco, gli imbianchini o, chi lo sa, gli stessi abitanti della casa, avessero dato una “passatina” accidentale anche alla porta.
Accanto continua la parte biancastra, dove si intravede una sedia con appoggiato sopra uno scialle, un mobile con piatti di vario colore e più in alto una mensola con paioli in rame e ceste.
Dietro la donna come detto prima la sedia con sopra il pizzo al quale stava lavorando prima dell’arrivo della bambina e a sinistra (la nostra) in penombra si vedono una scopa di saggina e uno straccio o panno penzolante.
Tutti elementi di contorno inanimati, piccoli particolari del vivere quotidiano definito con cura (basta osservare l’accuratezza della realizzazione delle linee di fuga della pavimentazione o dei ricami del pizzo) che portano l’occhio dell’osservatore a concentrarsi dal contorno al fulcro della pittura di genere di Rios: una scena di vita popolare veneziana.
Luigi Da Rios nato a Ceneda (oggi Vittorio Veneto in provincia di Treviso) nel 1844 fu un pittore italiano. Per un periodo della sua vita lavorò nella bottega di un falegname. A quindici anni entrò a far parte dell’Accademia di Venezia dove conseguì numerosi riconoscimenti e premi. Nel 1866 fuggì a Firenze per sottrarsi al servizio militare. A Firenze ebbe l’opportunità di approfondire la conoscenza dei capolavori del Rinascimento. Dopo la terza guerra di indipendenza si stabilì a Venezia. Prima fece tappa in Lombardia, a Milano e a Como, per una serie di affreschi commissionatigli in una villa Visconti ai Modrone. La sua pittura si concentrò prima sulla ritrattistica e poi sulla pittura di genere a soggetto popolare veneziano. Nella sua produzione non mancarono opere a tema religioso. Morì a Venezia nel 1892.