Andrea Camilleri: sono un artigiano, non chiamatemi ‘Maestro’
Oggi arriva nelle librerie La giostra degli scambi, la nuova indagine del commissario Salvo Montalbano. Manca poco al traguardo dei cento libri pubblicati, tra le avventure del commissario più amato dagli italiani e gli appassionanti romanzi storici.Andrea Camilleri detiene un primato in Italia, battendo scrittori vivi, come Umberto Eco, e da sussidiario. “È una macchina del racconto”, dice l’attore Luigi Lo Cascio, ex allievo di Camilleri all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. Trenta milioni di libri venduti in tutto il mondo, tradotti in trentacinque lingue, compreso il cinese. Ventidue i paesi in cui viene trasmessa la serie TV con Luca Zingaretti. Nonostante tutto ciò, non chiamatelo ‘Maestro’. “Mi irrita”, ha detto a Teresa Mannino, nel docu-film Il maestro senza regole, andato in onda lo scorso settembre in occasione del suo 89esimo compleanno. Meglio Andrea, oppure Nenè. Con questo nomignolo si presentò, un giorno, ad un misterioso ammiraglio che bussò alla porta di casa, in un assolato pomeriggio di fine maggio, a Porto Empedocle. L’uomo cercava nonna Elvira, e quando il piccolo Andrea avvisò tutti in casa, quel pomeriggio non fu più così tranquillo. A settant’anni, lo scrittore scoprì il motivo di quel trambusto: il misterioso ammiraglio altri non era che Luigi Pirandello, ‘cugino primo’ della nonna.
La capacità di affabulare è ereditaria nella sua famiglia. Lo scrittore racconta che è stata proprio nonna Elvira a trasmettergli questa passione, l’attitudine quasi magica nel creare mondi nuovi, dare vita a personaggi che essi stessi sono pianeti sconosciuti da scoprire, ricchi di segreti che celano gelosamente. Però, la spinta necessaria gliela dà il padre: “Fu lui in ospedale a dirmi che dovevo scrivere una storia che gli raccontai, esattamente come gliel’avevo contata”. Così inizia l’avventura editoriale di Camilleri: gli albori da scrittore non sono stati tra i più incoraggianti. Poi, uno ‘sbirro’ arriva tra i tasti della sua macchina da scrivere: “Il modello era Maigret. Sono stato il produttore della famosa serie televisiva con Gino Cervi e, seguendo da vicino lo sceneggiatore Diego Fabbri, imparai la tecnica del romanzo poliziesco. Nello scegliere il mio protagonista ho dovuto evitare il poliziotto privato, perché da noi non si possono occupare di omicidi. Quindi mi rimanevano un ufficiale dei Carabinieri o un commissario”, ha spiegato a TV Sorrisi e Canzoni. “Il nome del personaggio di Montalbano nasce come omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vásquez Montalbán, anche se non in relazione alla sua produzione giallistica e al personaggio del detective Pepe Carvalho. Anni fa lessi un suo romanzo, dal titolo Il pianista, che mi diede il modo di organizzare un mio romanzo: Il birraio di Preston. Quando, in seguito, mi ritrovai tra le mani un personaggio giallo da delineare gli diedi il nome di Montalbano, prima di tutto perché si tratta di un cognome siciliano diffusissimo e in secondo luogo proprio come ringraziamento a Vásquez Montalbán. C’è poi da aggiungere che il personaggio di un detective, e quindi la scrittura di un giallo, nasce come un mio personale bisogno di ordine, perché il romanzo giallo necessita di una consecutio temporis e di una consecutio logica ben determinate, ha bisogno di una struttura profondamente delineata. Questi elementi non erano stati fino ad allora presenti nei miei romanzi, e quindi provai a vedere se sarei stato capace di scrivere in questo modo, nella gabbia del romanzo giallo”. Con Montalbano, Camilleri conquista tutti. “Quando me ne mandi un altro?”, gli chiese Elvira Sellerio dopo aver deciso di inserire i suoi romanzi nella collana ‘La Memoria’, la più importante della casa editrice. Dal 1994, i suoi libri sono un’immancabile successo e continuano ad incantare lettori, vecchi e nuovi.
“Credo che, in fondo, per ciò che riguarda Montalbano, la cosa più logica è che io vengo ad occupare uno spazio vuoto, che in Italia finora non c’era, che è la scrittura d’intrattenimento alto; cosa che in Inghilterra c’è e che invece da noi manca completamente. É una considerazione fatta da Carlo Bo. Poi qualcuno sostiene che io sono un artigiano della scrittura. E qualcun altro mi ha detto: ce ne fossero di artigiani come lei. Io concordo sull’artigianato. D’altra parte, una cosa che ho sempre detestato è che in Italia se tu non fai una cattedrale non sei un architetto. Invece ci sono delle cattedrali orrende, delle chiese orrende, e delle chiese di campagna meravigliose. Ci credo all’artigianato di una certa classe. É quello che ha fatto la fortuna, tanto per dire, del cinema degli Stati Uniti. Mentre in Italia o si è Fellini o non si è nessuno”. Eppure la critica non lo ama, anzi. Però lui non se ne preoccupa, scrive per il pubblico non per i critici. Soprattutto, si diverte a farlo nonostante la fatica: “Se la scrittura deve degenerare in lavoro, io non scrivo più. Io non capisco quelli che dicono ‘le sudate carte’. Calma, intanto è sempre meglio che scaricare casse ai mercati generali, come fatica. Anche a me capita di faticare, senza esagerare”, spiega lo scrittore ne Il maestro senza regole, “il mio ideale è la trapezista del circo equestre. Tu la vedi bella, sorridente, che fa il triplo salto mortale col sorriso sulle labbra. Non ti fa vedere la fatica bestiale dell’allenamento, perché se te lo facesse vedere ti rovinerebbe il godimento che tu stai provando. E così è per me, non è un lavoro”.
Camilleri ha sempre precorso i tempi, a volte anticipando o prevedendo fatti di cronaca: “Ci ha raccontato la mutazione antropologica del berlusconismo, l’immigrazione, la crisi, e l’ha fatto con una lingua unica”, ha affermato Enzo Sellerio a L’Espresso. Già la lingua, Camilleri a proposito dice: “L’unica mia voce possibile sarebbe stata quella che io parlavo in famiglia, sia pure con le differenze che ci sono tra il parlare e lo scrivere. Il tessuto base era quello del parlato familiare, un intreccio di dialetto e lingua italiana”. Non poteva rinunciare all’imprescindibilità delle origini, a riversare sulle pagine l’amore per una terra che è, poi, fulcro del suo racconto. L’alfa e l’omega del suo essere scrittore. Come diceva Leonardo Sciascia: “L’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?”. La sicilitudine è una malattia, che provoca malinconia e alimenta l’immaginario di Camilleri: “Mi manca terribilmente lo scruscio du mari, lo sciabordio dell’acqua”. Poi i silenzi, quando il vento parla tra gli alberi, e riferisce accadimenti e straordinari segreti della terra di Trinacria. “È una maledizione, ma si può rivoltare anche come una giacca e diventare una buona cosa. Del resto io racconto come penso e penso di sapere come ragionano i siciliani. Almeno mi basta indovinarlo anche una volta sola”.
Michela Conoscitore
Pugliese, classe 1985. Laureata in Lettere Moderne, con un master in giornalismo cartaceo e radiotelevisivo. Ha collaborato, nel settore Cultura e Società, in una redazione giornalistica della provincia di Foggia. Da sempre, esprime l’amore per la scrittura, raccontando storie e descrivendo avvenimenti. La semplicità è il suo principale obiettivo, che cerca di perseguire affinché, ciò che scrive, arrivi a tutti. Grande appassionata di cinema e serie TV, da due anni posta recensioni sul suo blog, Incursioni Cinemaniache. Ma non si ferma qui, perché il vero giornalista è un curioso a tutto tondo.