Ancora sui dolori dell’editoria indipendente: anche le formiche, nel loro piccolo, finalmente è ora che s’incazzino!

Torno sulla questione “editoria indipendente (con annessi e connessi) sotto attacco”, dato che, come denotavo in chiusura del mio precedente articolo sul merito, la situazione è in progress e in costante evoluzione, e infatti la settimana si è rivelata parecchio agitata – fortunatamente, aggiungerei… o forse no. Insomma, vediamo alcuni degli eventi accaduti ragionandoci sopra un attimo.
Anzi, prima permettetemi di ribadire la mia ferma convinzione sulla questione: i grossi gruppi editorial-industriali, con la propria struttura di potere in fase di evidente e strategica concentrazione, hanno deciso di fare il più possibile piazza pulita della filiera editoriale indipendente, con lo scopo di assicurarsi e accaparrarsi – in tali periodi di magra commerciale sempre più accentuata – le quote di vendita dell’editoria indipendente. La stanno soffocando, per avere un poco di ossigeno in più per sé stessi, credendo così di salvaguardarsi dal periodo negativo in corso. Punto. Da tale convinzione nessuno al momento può smuovermi, e farò di tutto per convincere pure chi non vi crede che potrei veramente aver ragione. Drammaticamente aver ragione.
Posto ciò, in settimana si è acuita la protesta verso la probabile revisione della legge Levi in tema di scontistica applicata sul prezzo di vendita dei libri: su change.org gira una petizione al proposito, intitolata Non stravolgete la Legge Levi, uccidereste le librerie indipendenti. Non credo sia la prima, non l’unica e non sarà nemmeno l’ultima, purtroppo – e dico “purtroppo” perché temo non sia che l’ennesima iniziativa isolata di un battaglione che continua a muoversi per piccole guarnigioni, senza ufficiali di collegamento. E la scarsità di adesioni raccolte al momento in cui sto scrivendo il presente testo è piuttosto disarmante.
Di contro, nel silenzio assordante delle istituzioni (che parlano, sì, ma verso altre orecchie – modifiche alla Legge Levi docet!), c’è qualcuno in esse che quanto meno comincia a cogliere il dissenso della filiera editoriale indipendente: ad esempio l’onorevole Giovanni Paglia, che sugli organi del suo gruppo parlamentare afferma che “abolire il prezzo imposto e il tetto massimo di sconto equivale sostanzialmente a favorire i grandi gruppi editoriali e le grandi catene librarie nonché Amazon. Richiedere quindi che il tema sia stralciato dalla bozza in circolazione e trattato separatamente a seguito di un confronto con gli esercenti mi pare una semplice richiesta di buon senso e noi la sosterremo.” Ora: di affermazioni apparentemente virtuose i politici italiani ne fanno a vagonate ogni giorno; che ad esse seguano poi fatti concreti è cosa che, sapete bene, risulta troppo spesso evanescente. Tuttavia prendiamo come utile e potenzialmente buona l’iniziativa dell’esponente della Camera, quanto meno come strumento d’opinione a supporto delle iniziative messe in campo contro la revisione della Legge Levi.
Peraltro, nelle sue affermazioni, l’on. Paglia ricorda l’appello che i librai indipendenti della provincia di Ravenna hanno formulato e rivolto ai propri parlamentari eletti nel territorio – tra cui c’è appunto lo stesso Paglia – i quali librai rimarcano che “abrogare la Legge Levi e liberalizzare il settore dell’editoria senza prima ascoltare le esigenze della Categoria interessata, quella dei piccoli librai indipendenti, non è accettabile.” Ottima iniziativa, quella dei ravennati, controfirmata da 16 librerie. Sedici: per questo, un’altra azione del tutto isolata, certamente virtuosa e utile a livello locale ma in senso assoluto priva di forza e di efficacia, inevitabilmente, se non supportata a sua volta da altre iniziative simili, sparse altrove e possibilmente un po’ ovunque sul territorio nazionale.
Infine (ultimo ma non ultimo, tuttavia!), mi pare interessante segnalare l’ultimo intervento “pubblico” di Romano Montroni, attuale presidente del Centro per il Libro e la Lettura, lo scorso 11 febbraio alla trasmissione di Radio 3 Fahrenheit, condotta da Loredana Lipperini. In esso Montroni (che è di scuola feltrinelliana, non bisogna dimenticarlo, dunque di formazione potenzialmente avversa alla causa della filiera editoriale indipendente) ha spero parole di sostegno inopinatamente accorate a favore della salvaguardia dell’editoria indipendente – forse perché negli ultimi tempi si è reso conto dei danni fatti durante la sua precedente carriera professionale, come mi ha fatto sarcasticamente notare un amico librario.

Ok, vediamo ora di tirare un poco le somme circa quanto sopra esposto, per vedere di trarne qualche indicazione utile.
Battaglia sulla Legge Levi: sacrosanta a dir poco, ma permettetemi due osservazioni. Uno: si faccia di tutto per bloccare lo scempio previsto dall’imminente “DdL Concorrenza”, ovviamente; ma perché la filiera editoriale indipendente deve sempre agire a difesa di propri diritti? Perché deve sempre rincorrere e mai farsi (in)seguire, mai ad agire all’attacco? Drammatica mancanza di forza politica e commerciale, la risposta vien da sé. Due: la battaglia contro la modifica della Legge Levi è sacrosanta, lo ripeto, ma non dimentichiamoci che si sta difendendo una legge che è la meno peggio si sia riusciti a ottenere, e delle cui norme quasi sempre la grande editoria s’è fatta un baffo, aggirandole impudicamente e impunemente. Si vincerà la battaglia, è augurabile, ma per vincere la guerra ce ne corre ancora un sacco.
Questione distribuzione: nuovamente mi ripeto e rimarco come i nuovi assetti sulla distribuzione editoriale italiana credo servano anche (se non soprattutto) a soffocare la filiera indipendente. Come afferma Manolo Morlacchi di Booklet – un’esperienza di distribuzione editoriale “diversa” sulla quale probabilmente tornerò, a breve – in un articolo uscito su Tropico del Libro, “L’editoria, come ogni altro ambito, ha una sua filiera. Tra le sue tante contraddizioni (alcune specifiche del settore) vi è quello della concentrazione dei capitali in funzione delle esigenze dei monopoli del mercato. Ciò avviene, a velocità accelerata, in periodi di crisi come quello che stiamo attraversando. Al movimento di questo schiacciasassi non sfugge nessuno.” E’ in corso la creazione di un monopolio, insomma, o alla meglio di un oligopolio lobbistico e autoritario. Cosa fare dunque, per evitare di finire ancor prima di rendersene conto sotto il citato schiacciasassi? Beh, una cosa sola c’è da fare: unirsi per generare forza. E incazzarsi, finalmente e possentemente. E’ giunta l’ora che la filiera editoriale indipendente (ri)trovi la sua identità, la sua unicità, la consapevolezza che nell’essenza non sarà mai uguale alla grande editoria, ma che maneggiando la stessa sostanza deve – e ribadisco, deve – poter godere di uguali diritti rispetto ai suddetti grandi gruppi editoriali. “Libero mercato” significa compartecipazione a uguali diritti e simili possibilità di sviluppo. Poi è ovvio, i numeri saranno sempre diversi, ma ciò non significa che i diritti debbano essere proporzionalmente più o meno riconosciuti.
Ci vuole unità, ci vuole collaborazione tra i vari soggetti della filiera editoriale indipendente – tra tutti i soggetti, a partire dall’editore fino al lettore dei prodotti dell’editoria indipendente possibilmente acquistati presso librerie altrettanto indipendenti, e coinvolgendo pure altri soggetti affini quali piccole biblioteche, enti culturali che lavorano con i libri e la lettura. Una rete, fittamente intrecciata e diffusa, nella quale anche il singolo, sommato a tutti gli altri singoli, diventi un’entità importante e imponente, uno che, quando apre bocca, finalmente si possa distintamente sentire e possa rivaleggiare con le più supponenti voci della grande editoria, e non scomparire nel rumore di fondo come mille flebilissimi bisbigli. Pur innumerevoli formiche che assalgono un elefante ma ciascuna a suo modo, non faranno che provocargli un minimo solletico, al massimo; tante formiche coalizzate che portano attacchi possenti, precisi e mirati, faranno vacillare pure il più grosso bestione!
In fondo, la grande editoria è un gigante dai piedi d’argilla, non scordiamolo – e proprio le mutazioni d’assetto nel sistema editoriale nazionale provano ciò. Se essa oggi vale “100”, e ci sono tanti “1” indipendenti che la combattono con mere iniziative lodevoli tanto quanto singole e isolate, l’unica strategia efficace da seguire è quella di sommare tutti gli “1” per ricavarne un numero ben più elevato. E state certi che se l’editoria indipendente in tal modo riuscisse anche solo ad arrivare a “60” o “70”, i grandi editori comincerebbero a sentirsi molto meno baldanzosi, molto meno impudenti e ben più insicuri!
Al solito, non mancherò di seguire gli ulteriori sviluppi sui temi qui trattati, auspicando che nel frattempo le formiche-piccoli editori finalmente si decidano a incazzarsi, a unirsi, ad agire compatti e a non lasciarsi soffocare senza alcuna buona ed efficace reazione.