Scrivere è perseveranza: Maupassant e la ricerca dell’ispirazione nella letteratura
di Luigi Caiafa, in Letteratura, del 28 Ott 2016, 09:31
Il talento non è altro che una lunga pazienza. Sono queste le parole che Gustave Flaubert, citando Chateaubriand, riservò al suo allievo Guy de Maupassant, dopo aver letto una delle sue prime bozze. Parole che segneranno profondamente il futuro scrittore di Una vita e Bel Ami ed eserciteranno una forte influenza sulla sua breve ma intensissima produzione letteraria.
In tutta la sua vita – durante la quale ebbe modo di confrontarsi con i più brillanti intellettuali dell’epoca, tra cui lo scrittore russo Ivan Turgenev e i francesi Émile Zola, Edmond de Goncourt, Joris-Karl Huysmans e Alexandre Dumas figlio – Maupassant non smise mai di perseguire la sua personale ricerca di un preciso modello di scrittura, contro ogni tipo di concezione e giudizio estetico di tipo scolastico.
Nel 1888, la pubblicazione di quello che secondo numerosi critici è il suo vero capolavoro, ossia il romanzo di analisi psicologica Pierre e Jean, è accompagnata da una prefazione che rappresenta uno dei saggi più completi e significativi di Maupassant, intitolato Il romanzo, in cui tenta di riflettere e di spiegare a lettori e scrittori (ma soprattutto ai critici del suo tempo) la sua idea, o meglio la sua definizione di scrittura, cercando in particolare di saldare il suo debito di riconoscenza contratto con il suo maestro, Gustave Flaubert, pilastro del realismo francese e della moderna letteratura.
Contro ogni prassi o classificazione artistica, Maupassant sostiene con il suo testo un’incondizionata accettazione della eterogeneità letteraria, al fine di riconoscere e incoraggiare la verità dell’ispirazione. Ma quale via percorrere per raggiungere questa verità? Per dare una risposta a questa domanda lascio ora la parola a Maupassant, nella speranza che i giovani scrittori possano attingere informazioni utili sul mestiere a cui aspirano da uno dei padri del racconto moderno.
«[All’inizio della mia carriera letteraria] Flaubert, che vedevo ogni tanto, cominciò a nutrire dell’affetto per me. Mi azzardai a sottoporgli qualche abbozzo. Li lesse con benevolenza e mi rispose: “Non so se avrete talento. Ciò che mi avete portato prova una certa intelligenza, ma non dimenticate questo, giovanotto, che il talento, come dice Chateaubriand, non è altro che una lunga pazienza. Lavorate.” Lavorai, e ritornai spesso da lui: avevo capito che mi apprezzava, perché si era messo a chiamarmi, ridendo, il suo “discepolo”. Lungo sette anni scrissi dei versi, scrissi dei racconti fantastici, scrissi delle novelle, scrissi persino un dramma orribile. Non ne è rimasto nulla. Il maestro leggeva tutto, poi, la domenica successiva, pranzando, argomentava le sue critiche e mi inculcava, a poco a poco, due o tre principi che sono il sunto dei suoi lunghi e pazienti insegnamenti. “Se si ha originalità”, diceva, “bisogna anzitutto farla emergere, se non la si ha, bisogna acquisirne una”. “Il talento è una lunga pazienza”. Dobbiamo guardare ciò che vogliamo esprimere tanto a lungo e con tanta attenzione da scoprirne un aspetto che non sia mai stato visto né detto da nessuno. In ogni cosa vi è alcunché d’inesplorato, perché siamo abituati a servirci dei nostri occhi solo con il ricordo di quanto è stato pensato prima di noi su quello che stiamo contemplando. La cosa più insignificante contiene un po’ d’ignoto. Troviamolo. Per descrivere un fuoco che divampa e un albero in una pianura, restiamo di fronte a quel fuoco e a quell’albero finché non assomiglino più, per noi, a nessun altro albero e a nessun altro fuoco. È così che si diventa originali.»
Luigi Caiafa
Luigi Caiafa nasce in Puglia nel 1985. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in Archeologia e Storia dell’arte antica presso la Sapienza, Università di Roma, inizia un percorso di formazione in ambito editoriale. Da gennaio 2016 collabora con la casa editrice Historica e la rivista online Cultora.