Non siamo noi che siamo perbenisti

Nella giornata di oggi mi è capitato per le mani un articolo molto ben scritto e anche ben argomentato, che intende recuperare il valore dell’essere buoni.
L’articolo l’ha scritto tal Giulio Cavalli sul suo blog e l’indirizzo a cui lo trovate è questo:
http://www.giuliocavalli.net/2015/05/11/quando-essere-buoni-passato-moda/

Successivamente in una o più discussioni che ho trovato in rete, ho riscontrato come ormai la parola “perbenista” sia diventata uno degli insulti più utilizzati per colpire chi continua a difendere valori come l’accoglienza, l’ospitalità, la condivisione del benessere (quando non lo si vuole chiamare superfluo).
Non posso fare a meno di richiamare anche per questo aggettivo; “perbenista”, il concetto richiamato e la spiegazione tanto bene articolata da Giulio Cavalli.
Essere persone per bene, continuare a comportarsi da esseri umani, a ricordare la storia del bisogno e dell’emigrazione italiana, non significa essere perbenisti, non significa essere ipocriti o mentire a sé stessi, significa semplicemente continuare ad avere il coraggio di essere persone per bene.
Per bene. Che non vuol dire perbenisti.

Mi stupisce invece come ai non-perbenisti possa sfuggire qual è il perverso meccanismo alimentato e strumentalizzato da alcuni personaggi – politici e non solo – per ottenere consenso trasformando i problemi, reali, concreti e quotidiani di tanti italiani, in energia da convogliare verso i problemi che secondo loro sono causati dai “non italiani” che – sempre secondo questi politici – sono nella migliore delle ipotesi dei parassiti, degli sfruttatori che si alimentano a spese nostre. Insomma, l’equazione che questi personaggi vogliono far passare è che gli italiani stanno male perché qualcuno usa delle risorse destinate agli italiani per destinarle a dei non italiani.
Quindi noi non siamo poveri, socialmente ed economicamente ridotti alla miseria per colpa di politici e governi che negli anni hanno messo al primo posto esclusivamente il mantenimento (e la crescita) del loro benessere e di quello dei finanzieri d’assalto, ma siamo poveri perché qualcuno destina le risorse e i soldi agli extracomunitari, sottraendoli a chi (gli italiani) paga le tasse.

Mi spiace veramente che dietro a tanta prontezza di spirito, nel definire perbenista chi continua a essere persona per bene, manchi la capacità logica (e anche un po’ di sana aritmetica) per capire che il vero problema non sono gli extracomunitari, il vero spreco, lo scempio economico, non è per quei 40 euro al giorno che vengono destinati al loro mantenimento (per la cronaca di quei 40€ la paghetta che entra nelle tasche degli extracomunitari è di poco più di 3 euro al giorno), ma per lo sperpero continuato e reiterato di fondi pubblici per alimentare carrozzoni, per mantenere armamenti e strutture pubbliche ridondanti, per finanziare imprese di “figli e nipoti di”.
Se si tagliano le pensioni, se mancano i soldi per far vivere gli italiani, la causa non sono i fondi destinati agli altri. Le vere cause dei problemi economici degli italiani si chiamano corruzione, sperpero, clientelismo, monopolismo e burocrazia.
E il vero problema sociale non è il “perbenismo”, ma – credetemi – il vostro razzismo latente, che finalmente ha una possibile giustificazione, una scintilla su cui i vari Salvini, Meloni e Santanché possono soffiare per farvi credere che se noi stiamo male, la colpa è del fatto che spendiamo troppo per gli extracomunitari. Che se in Italia aumenta la delinquenza la colpa è degli extracomunitari.

Insomma mi piace dire che quelli come me non sono perbenisti. Sono solo persone per bene che non dimenticano cosa voglia dire essere uomini. E mi dispiace invece dire che quelli come voi sono certamente dei razzisti e che la prova certa per capire che lo siete è controllare l’inizio delle vostre frasi quando parlate o scrivete di questi argomenti; “io non sono razzista, ma…”
Parafrasando una battuta abbastanza famosa di Covatta, Paolantoni e Sarcinelli; non siamo noi che siamo perbenisti, siete voi che siete razzisti.

(fonte immagine: Rete)

Marco Proietti Mancini

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.