“Medea” al Teatro SalaUno: l’apoteosi del femminino
Un mito molto noto per un riadattamento davvero unico: nella suggestiva location del teatro SalaUno, che non necessita troppi allestimenti scenografici, è andata in scena, come penultimo appuntamento della rassegna “Noir”, Medea, per la regia di Caterina Costantini, che interpreta personalmente il ruolo della protagonista.
Sul palco la celebre tragedia euripidea si mischia a quella rimaneggiata da Seneca, presentando uno spettacolo che non vuole obliare l’antica matrice: si alternano citazioni in greco e in latino, come il celebre lamento di Medea sofferente: Io, moi moi, che echeggia nella sala.
Il coro, spesso tralasciato nei riadattamenti moderni, ritrova l’antico lustro: è composto da due uomini e, nei momenti salienti, è corroborato da tre ancelle che quasi cantilenano il testo, muovendosi a ritmo, per ricordare la funzione originale dell’intermezzo greco:
“All’indietro tornano le sorgenti dei sacri fiumi, e l’ordine e tutto è rovesciato;
gli uomini hanno pensieri ingannatori e la fede degli dei non è più salda.
Ma i racconti cambieranno la mia vita, cosi ché avrà una buona nomea:
viene onore alla stirpe femminile, non più una fama che suona ingiuriosa graverà sulle donne.
Ché nella nostra mente l’incantevole canto della lira non infuse Febo, maestro di melodie:
altrimenti avrei fatto risuonare un inno contro la stirpe dei maschi.” (Eur., Medea,vv. 410-428)
Non è una frase scelta a cuor leggero in un riadattamento che enfatizza fortemente la presenza femminile sulla scena: molto rilievo, infatti, è dato al ruolo della nutrice, interpretata magistralmente da Lorenza Guerrieri.
I giuramenti sono stati stravolti, quindi, ma la colpa è di un uomo: la donna che nella tradizione greca era vista come inaffidabile, scatenatrice di guerre e dunque relegata nella dimensione domestica, trova in Medea la sua nemesi: la principessa barbara, la strega nipote del Sole che aiutò Giasone a conquistare il vello d’oro, ama un eroe che da certa critica è stato definito apatico, da altra antieroico, da altra ancora un calcolatore e un sofista. Di fronte alla statica e inerme figura maschile si erge il furore di una leonessa, donna fiera e nobile che ha sacrificato la sua patria, la sua famiglia e il suo pudore per far sì che il suo amato ottenesse il tanto ambito trono. Insieme alla colpa di scellerati omicidi, ricade sulla donna anche la pena del tradimento subito da Giasone per ascesa sociale: ne consegue che Creonte, padre della futura sposa Creusa, vuole Medea fuori dal suo regno per timore che ordisca qualche tranello mortifero.
Ma Medea non è una greca, e quella portata in scena dalla Costantini è una donna passionale, feroce; non è l’algida e incolta matrona ateniese, soprammobile della casa: è creatura astuta, è incantatrice, è leonessa. La scena dell’incantesimo per avvelenare le vesti di Creusa è quasi da film horror, sulla falsariga di Seneca, che rese la tragedia greca più truculenta e bestiale.
Lo spettacolo scorre come un fiume in piena per un’ora e mezza. La storia, in cui la maternità è uno dei temi centrali, viene arricchita da un geniale espediente per le entrate in scena: la principessa colca, che ucciderà i suoi figli per punire Giasone, sembra quasi partorire gli attori; si alza la veste e i nuovi personaggi strisciano fuori dalle sue gambe. Madre assassina, moglie tradita, strega temibile: tanti sono gli epiteti attribuibili ad un personaggio come Medea che, alla fine, è semplicemente una donna. Se questa è stata una tragedia definita da alcuni filoni critici “dell’emancipazione” rispetto alla restante letteratura greca, comunemente patriarcale e misogina, lo spettacolo proposto al Salauno ha esaltato questa teoria presentando un incredibile coro di voci femminili, che rispecchia i tempi odierni e ricorda l’attualità degli antichi miti.