secondo Domenico Morelli
Le tentazioni di Sant’Antonio di Domenico Morelli, sono un olio su tela che mi ha sempre intrigato molto. L’artista terminò il dipinto attorno al 1878, ma prima di arrivare al termine del quadro M. fece tutta una serie di studi e disegni che evidenziano quanto questo argomento lo interessasse, è vero che in una delle prime versioni dell’opera il santo era appoggiato alla roccia con la braccia spalancate (una sorta di richiamo alla crocefissione).
Con molta probabilità l’artista italiano prese come punto di riferimento La tentation de Saint-Antoine, di Gustave Flaubert del 1874, anche se in realtà non esistono documenti precisi che certificano questa possibile fonte. Il quadro, inviato nel 1878, al mercante francese Goupil per essere presentato all’Esposizione Universale di Parigi oggi di trova GNAM (Galleria Nazionale d’Arte Moderna) di Roma.
Chi era il Santo? S. Antonio fu il fondatore del monachesimo anacoreta (caratteristico dei monaci che vivono in isolamento dedicandosi alla preghiera e alla contemplazione) e sant’Antonio durante la sua lunga vita fu tentato e percosso dal demonio in più occasioni, ma con la sua tenacia e fede, riuscì sempre ad uscirne vittorioso e rafforzato nello spirito. In questo olio su tela Morelli dipinse proprio il momento di massimo trasporto emotivo del santo in preda alle tentazioni.
Il tutto si svolge in una spelonca (una sorta di grotta) completamente spoglia. Il santo è seduto e vive nella nuda pietra che vista così, dà una sensazione di freddo e gelo, nonostante la brillante la luce che si irradia da destra e che investe il santo e la tentazione sdraiata al suo fianco.
Sant’Antonio siede accucciato con le gambe rannicchiate e tirate verso il busto. Le sue mani stringono con forza il petto, come per tenere sotto controllo il tremito incessante del supplizio che attanaglia il suo corpo. Il volto è incorniciato da una specie di cappuccio bianco, dal quale emerge un viso scarno dove è stampata un’espressione di completo perdimento.
La bocca aperta in un urlo che sembra non riuscire a farsi sentire e gli occhi spalancati, persi nel vuoto, sono l’espressione del tormento che travolge questo uomo racchiuso nella sua più totale sofferta solitudine, rappresentato nell’arduo tentativo di combattere e resistere alla tentazione carnale.
Il tormento, o tentazione, inviata al santo dal demonio è alla sua destra, dove da sotto una stuoia di pesante pagliericcio intrecciato si intravedono corpi femminile in movimento. All’estrema sinistra (la nostra) si vede il viso di una donna uscire dalla stuoia e due altri emergono dal fondo scuro della spelonca.
In primo piano, vicino al santo, c’è un’altra figura femminile, con seni solidi e floridi. Il viso è nascosto per metà dalla figura del santo accovacciato, ma quella bocca aperta in un sorriso sensuale, i capelli rossi e i monili d’oro che adornano la figura sono la sensualità nuda e cruda che mette a dura prova l’anima e il corpo del santo stesso.
La tecnica pittorica del Morelli, pittore romantico, è caratterizzata da una stesura corposa e rapida del colore che costruisce le figure e gli oggetti presenti nella tela (interessante anche la presenza di una sorta di leggio/scrittoio ricavato nella roccia che si nota all’estrema destra – la nostra- del santo). Un dipingere corposo e materico molto vicino a Delacroix.
Quando il dipinto venne presentato in Francia scatenò reazioni contrastanti per le atmosfere messe in campo caratterizzate da una perfetta mescolanza tra realismo e simbolismo, tensione mistica ed erotismo che ha ricordato un po’ la Transverberazione di Santa Teresa del Bernini, che in una pillola d’arte precedente definii un esempio di erotismo sacro.
Domenico Morelli, nato a Napoli nel luglio del 1823, era figlio adottivo di Francesco Soldiero e di Maria Giuseppa Mappa. Solo nel 1848 Domenico Soldiero aggiunse il cognome Morelli, che poi adottò come unico. M. iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1836 producendo opere di impostazione e ideale romantico, con numerosi influssi medievali. Nel 1848 vinse un concorso che gli permise di recarsi a studiare a Roma dove, dopo aver preso parte ai moti del 1848, fu incarcerato per un breve periodo. Nel 1850 visitò Firenze e qui ricevette il suo primo riconoscimento pubblico per la sua opera Gli iconoclasti. Nel 1855 partecipò, insieme a Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, all’Esposizione Universale di Parigi e, tornato a Firenze, partecipò ai dibattiti dei Macchiaioli sul realismo pittorico. Un coinvolgimento che lo spinse assumere uno stile meno accademico dove si fondevano verismo e tardo-romanticismo. Negli anni sessanta del XIX secolo venne nominato consulente del museo nazionale di Capodimonte portando nuove acquisizioni di opere e contribuendo alla gestione delle collezioni d’arte. Nel 1868 M. ottenne la cattedra d’insegnamento all’Accademia (dove aveva studiato), rivolgendo la sua attenzione ai temi religiosi, mistici e soprannaturali. Tra anni ’70 e ’80 dipinse quadri aventi per soggetto scene orientali, pur non essendo mai stato in quei luoghi, inserendosi così nella corrente degli orientalisti italiani che annoverò pittori come Alberto Pasini, Roberto Guastalla, Federico Faruffini, Eugenio Zampighi, Pompeo Mariani, Giuseppe Molteni e altri. Dal 1899 sino alla morte avvenuta nel 1901, M. fu direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.