Art in Pills: La madre secondo Adriano Cecioni
Uno degli aspetti che mi piacciono dell’arte è la sua capacità di indagare, con colori, forme, effetti di luce e materiali differenti non solo le cose e la realtà, ma anche i sentimenti che si celano dentro all’animo umano. C’è una scultura nel panorama artistico italiano dell’Ottocento che mi ha sempre colpito per il tenero sentimento materno che emerge da ogni sua componente. Mi sto riferendo al gruppo scultoreo La madre del fiorentino Adriano Cecioni. La scultura di affine al Realismo venne ricavata nel marmo nel 1880 e oggi si trova nella Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. L’opera trasmette il profondo sentimento di amore e bene esistente tra una madre e il proprio figlio.
Osservando il gruppo si vedono due figure: una donna che tiene in braccio un bambino. La figura femminile imponente, è la madre, e Cecioni la rappresenta con una fisionomia semplice e popolana. La protagonista dell’opera è una donna comune scolpita nel momento in cui giocherella con il piccolo figlio che sorregge tra le braccia.
Anche se la figura femminile raffigurata è una persona comune, il suo mostrarsi ai nostri occhi evidenza un’eleganza ordinata, nel senso che se le osservate il capo, noterete come i capelli siano raccolti in una crocchia composta e disposti seguendo l’andamento di ordinate onde che incorniciano un volto bello, pulito e sincero. Un viso caratterizzato da un ampio e sereno sorriso che le rende il volto luminoso. Della stessa spontaneità è il momento ritratto dal Cecioni.
La parte dello sterno e del petto della madre sono lasciati liberi dalla veste e questo mostra un corpo sodo, generoso e florido, ma il seno destro scoperto, che si intravede emergere dalla stoffa, è quello che ci fa capire il ruolo materno della donna che, non solo regge in braccio il figlio, ma gli dona nutrimento sfamandolo con il proprio latte. Le sue origini, osservandola nel suo modo di vestire, sono umili e lo si capisce dalla semplicità della veste che ricade pesantemente sul corpo, ammantando la giovane mamma in modo completo, lasciando intravedere le scarpe che, se lo notate, non son riccamente lavorate. Le calzature di questa madre sono di forma basilare, potrebbero essere scambiate per delle pantofole, ma utili per macinare chilometri e chilometri attraverso i grovigli delle vie cittadine.
Tra le braccia la donna sorregge il proprio figlio o figlia, che osserva con attenzione il viso della mamma e protende le due piccole e paffute braccia verso la donna per poterla abbracciare. Un gesto sì di un infante, ma guardate le piccole dita della mano destra che additano proprio la mamma e che indicano il bisogno di ricevere amore e protezione dalla donna/madre che gli ha donato la vita.
La madre di Cecioni è una scultura che ritrae una figura vera, reale, di una bellezza concreta, non idealizzata, come è vero e profondo il sentimento di amore che lega le due figure in modo indissolubile. Questa madre così tenera e sincera, anche se il materiale usato per realizzarla è marmo, nel suo modo di manifestare apertamente l’amore per il proprio figlio o figlia, diventa l’emblema del legame affettivo che dovrebbe esserci tra ogni madre e figlio.
Adriano Cecioni nacque a Firenze nel 1836 e si distinse come uno tra i maggiori rappresentanti della scultura italiana dell’Ottocento, anche se non si fece mancare la pratica pittorica e di critico d’arte italiano. Inoltre fu uno dei più ferventi sostenitori della corrente realista. Studiò all’Accademia di belle arti di Firenze, sotto la guida del maestro Aristodemo Costoli e come altri artisti della sua generazione, partecipò alla seconda guerra d’indipendenza nel 1859.
Nel 1863, dopo aver ricevuto una borsa di studio, si trasferì a Napoli dove incontrò Giuseppe De Nittis, Federico Rossano e Marco De Gregorio. Con loro diedero vita alla così detta “Scuola di Resina” formata da un gruppo di artisti dediti alla pittura di paesaggio all’aria aperta, genere nel quale fu attuata un’interessante sperimentazione stilistica e tecnica. Negli anni Settanta dell’Ottocento Cecioni visse e lavorò a Parigi e a Londra. Tornò in Italia nel 1884 continuando a fare sculture e dipinti, le più note sono la serie di Cocottes e Il cane accucciato. Morì a Firenze nel 1886.