Vincent Cassel ce l’ha con i doppiatori, ma i film in lingua originale non vanno

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Il Corriere della Sera riporta la polemica accesa da Vincent Cassel così riassunta: “In Italia non si riesce a vedere un film in lingua originale, perché i doppiatori qui sono una mafia. Non capisco perché hanno tutto questo potere.” La risposta è presto arrivata dal principe del doppiaggio italiano, Luca Ward: “è il mercato che decide. […] In Italia già leggiamo pochi libri, figuriati se ci mettiamo a ‘leggere’ un film”.

Non entrando nel merito dell’autenticità dell’affermazione di Cassel in riferimento alla mafia dei doppiatori, entrambe le posizioni sottointendono una grande verità che si esplica in un profondo disagio culturale che in Italia si vive più che altrove: il film in lingua originale spaventa e se è sottotitolato annoia. Atteggiamento comune di una popolazione vinta dalla pigrizia che non comprende né parla fluentemente inglese, figurarsi le altre lingue. Eppure sono frequenti le sale cinematografiche, soprattutto di catena, che fanno un tentativo in tal senso proponendo settimanalmente un film in lingua originale. Ma certo, l’affluenza è scarsa.

La soluzione del problema è da ricercare nell’educazione all’intrattenimento che si dà ai giovani, che vivono il cinema come un pomeriggio di svago (come è giusto che sia) senza mai vedervi un’opportunità di sperimentare un’emozione nuova, come godersi l’interpretazione degli attori al 100%, priva di intermediari. Al pari di un traduttore letterario, il doppiatore deve cogliere anche le più piccole sfumature del lavoro attoriale senza che l’ascoltatore si accorga della “trasformazione” del testo e dell’interpretazione da una lingua all’altra. Un lavoro che nel Bel Paese rientra nei mestieri dell’arte (e del talento) forse anche più della recitazione, in quanto, ricorda Simona Izzo al Corsera,non conta esser bello o avere un fisico prestante. Conta solo la tua voce”. Ma nonostante la maestria, anche i più grandi doppiatori sono consapevoli che il loro mestiere sia un “male necessario”: “Tradurre è tradire, ma del resto chi se lo legge Thomas Mann in tedesco?” Ed è proprio qui che si annida il problema. Occorrerebbe che educassimo noi stessi a un concetto di cultura meno immediato e superficiale, che non ci porti a pensare “ma chi se lo legge Thomas Mann in tedesco?”, ma che ci spinga ad essere curiosi verso le parole che la penna di Thomas Mann scrisse. Iniziare a pensare al cinema come a un prodotto culturale – che offre anche uno svago -, ricordando che intrattenimento e cultura non si escludono a vicenda.

Federica Colantoni

Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.