Pinterest: qualcosa di più di un social network
Poco diffuso in Italia, molto apprezzato nel resto del globo, Pinterest, il social media fondato nel 2010 da Sharp, Silbermann e Sciarra, ha raggiunto nel 2015 70 milioni di utenti unici sparsi per il mondo. E non sembra volersi fermare.
Il concetto di base di Pinterest è semplice e intuitivo. Prendete la vostra camera piena di poster, foto e oggetti, digitalizzatela, inseritela in una realtà molto social e il gioco è fatto. Pinterest permette agli utenti di creare bacheche virtuali (boards) per la condivisione di fotografie, video ed immagini (pins) che vengono appese (to pin in inglese) in base a temi predefiniti o generati dagli stessi utenti. I pins corrono quindi veloci da una bacheca all’altra toccando gli argomenti più disparati come: “cose da comprare”, “luoghi da visitare”, “cose da indossare”. Ma il discorso è più complesso.
Presentatosi nel 2010 come un classico social network Pinterest sembra essere diventato qualcosa di più. Una comunità. O come lo definisce il co-fondatore Sharp: uno strumento per trovare idee stimolanti e salvarle per quando si avrà tempo o necessità.
Pinterest è riuscito a diventare una comunità perché i pins non sono semplici post, ma sono invece cose che hanno a che vedere con qualche referente del reale. Dietro ai 30 milioni di immagini e video condivisi, ci sono collegamenti e contatti tra persone. Ed è questo a creare la comunità, a fare la differenza in termini di usabilità e utilità di Pinterest.
Pinterest è basato sulla ricerca. È quindi un servizio che accresce il suo valore quanto più viene utilizzato: maggiore è il numero di pins ricercati e appesi sulle bacheche degli utenti, maggiore è la conoscenza del cervello del social media, che si arricchisce di informazioni, si fa più fine, preciso e dettagliato rispetto ai gusti degli utenti.
Sembra quindi che Pinterest possa essere inteso più come un motore di ricerca che come un social network vero e proprio. Ma la ricerca su questo tipo di piattaforma è molto diversa da quella di Google o Yahoo.
Mentre Google non ha rivali nel rispondere a specifiche e oggettive richieste degli utenti come quanto è lontano un posto da un altro, Pinterest risponde a domande più soggettive come quale divano comprare o cosa cucinare per cena. Questioni più sottili e soggettive, difficili da trovare attraverso un motore di ricerca tradizionale.
Pinterest è in grado di rispondere a domande soggettive perché impara a conoscere i gusti degli utenti attraverso le loro interazioni. Il mantra del social media americano è quindi incoraggiare gli utenti a creare e condividere contenuti sulle proprie bacheche, così da poter mettere in contatto le persone giuste, con i curatori di bacheche giusti e viceversa.
Nel mondo della musica streaming Spotify sta affrontando una sfida simile nell’aiutare gli utenti a trovare nuova musica che corrisponde ai loro gusti, aumentando il livello di connessione con i creatori di playlists.
Da questo semplice principio nasce la comunità di Pinterest. Se sto andando a Londra per il fine settimana e cerco qualcosa da fare, apro Pinterest, vado sulle boards di Londra e vedo cosa fanno i londinesi nel week-end. Si tratta di trovare un utente con gli stessi gusti, qualcuno che ha già fatto il lavoro per loro.
Ma siamo sicuri che vivere in una comunità di sole persone che la pensano come noi e hanno i nostri stessi gusti ci faccia bene? Siamo sicuri che fare tutti le stesse cose sia un passo avanti e non uno indietro? È forse questo il rischio più grande di Pinterest e in qualche modo di tutta la branca della search engine optimization. La costruzione di un mondo di uguali-troppo uguali, alla lunga, può portare a perdere i contatti con la varietà della realtà, creando compartimenti stagni separati da pericolosi pregiudizi.
Tutto ciò riconduce a come il web 2.0, quello che si muove su dispositivi mobile (l’80% dell’utilizzo di Pinterest proviene infatti da smartphone e tablet), stia incrementando vertiginosamente la velocità con cui i trends e le culture nascono, si riproducono, si globalizzano e muoiono.
Mode e tendenze viaggiano rapide da New York a Tokyo e in un attimo diventano mainstream, in preda ad una omologazione schizofrenica, per la quale si passa velocemente tutti quanti allo stesso tempo da uno stile di vestire, ballare o mangiare ad un altro, e poi ad un altro ancora, incessantemente, senza sosta.
A quanto sembra per i fondatori di Pinterest questo non rappresenta un problema, anzi è un obiettivo da raggiungere e al contempo una sconfinata fonte di guadagno. Sharp, Silbermann e Sciarra hanno infatti trasformato la grandissima quantità di dati raccolti dal social media in opportunità per gli inserzionisti pubblicitari.
Pinterest è l’habitat naturale per le strategie di marketing dei brands. Il mondo online è sempre più un ambiente visuale e usando Pinterest è come se i consumatori avessero sempre in tasca le loro marche preferite o preferibili.
Pinterest ha lanciato il suo Promoted Pins Service nel Dicembre 2014, servizio che permette agli inserzionisti di raggiunge con molta precisione i potenziali consumatori. I brands non hanno avuto bisogno di molte istruzioni per l’uso: i loro pins si sono subito adattati con efficacia al visual marketing, riuscendo a costruire con cura una immagine di marca, comunicando esperienze e valori e ad interagendo il più possibile con il consumatore.
No, Pinterest non sembra essere il classico social network.
Francesco Frisone
Francesco Frisone, nato nel 1994 a Roma. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Pavia, è allievo IUSS e alunno dell’Almo Collegio Borromeo. Ha frequentato la London School of Journalism nell’estate 2014 e ha lavorato per l’Ufficio del Sindaco Depaoli a Pavia nel 2015. Si interessa di media, politica e campagne elettorali.