Madame Bovary e la moderna letteratura: perché siamo tutti debitori di Flaubert
Centosessanta anni fa fece il suo ingresso nel mondo della letteratura Madame Bovary, primo romanzo di uno dei maestri del realismo francese, nonché precursore della narrativa moderna: Gustave Flaubert.
La trama è nota a tutti. Il testo narra la storia di Emma Bovary, che vive al di sopra dei propri mezzi per sottrarsi alla vacuità della vita di provincia, sfociando nell’adulterio.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1856 e subì fin da subito severe critiche e condanne per “oltraggio alla morale”, per il suo stile troppo impersonale e privo di giudizi o commenti diretti. Tuttavia, fu proprio il suo stile a elevare Flaubert tra i grandi della letteratura.
“I romanzieri dovrebbero ringraziare Flaubert come i poeti ringraziano la primavera: con lui tutto rinasce”. Sono queste le parole del critico letterario e professore di Harvard, James Wood, tratte da uno dei suoi saggi più celebri, How fiction works (Come funzionano i romanzi, edito da Mondadori). Secondo Wood, bisogna distinguere un’epoca letteraria pre-Flaubert e un’epoca post-Flaubert: “Fu lui a fissare una volta per tutte ciò che, per la maggior parte dei lettori e degli scrittori, è la narrazione realista moderna”.
La prosa di Flaubert predilige un alto grado di osservazione visiva, mantiene una compostezza priva di sentimentalismi superflui, e giudica il bene e il male con neutralità. Una prosa, dunque, che mira alla verosimiglianza della realtà, ossia a dare solo l’illusione della realtà, attraverso una ricerca meticolosa del dettaglio, che diverrà poi il perno centrale della letteratura e del cinema moderni.
La cura e la selezione dei dettagli rappresentano l’elemento predominante della sua tecnica narrativa, alla stregua di una videocamera durante un reportage. “L’autore deve essere nella sua prosa come Dio nell’universo; presente ovunque e non visibile in nessun luogo”, scrisse in una lettera del 1852. “Egli voleva, difatti, che il lettore si trovasse di fronte a una liscia parete di prosa in apparenza impersonale, ma con dettagli sempre maggiori”.
Nel romanzo si legge: «Un giorno arrivò verso le tre [Charles Bovary]; erano tutti nei campi; entrò in cucina, ma dapprima non si accorse di Emma, le imposte erano chiuse. Attraverso le fessure del legno, il sole stendeva sul pavimento lunghe strisce sottili che si infrangevano contro gli spigoli dei mobili e tremolavano sul soffitto. Sulla tavola c’erano mosche che salivano lungo i bicchieri vuoti e ronzavano annegandosi nel sidro rimasto sul fondo. La luce che scendeva attraverso la cappa del camino, vellutando la fuliggine della placca, inazzurrava leggermente le ceneri fredde. Tra la finestra e il focolare, Emma era intenta a cucire; era senza scialle, piccole gocce di sudore erano visibili sopra le spalle nude».
In questo breve passo è possibile individuare tutti gli elementi stilistici della prosa di Flaubert. Essa, infatti, mostra una tecnica scenico-descrittiva quasi cinematografica (anche se l’uso di questo termine è improprio, poiché in realtà fu il cinema a prendere in prestito questa tecnica dalla letteratura) con vedute panoramiche e zoomate che suscitano nel lettore un sentimento alternato e contrapposto, retto da momenti di trepidazione e di suspense. Il protagonista sembra notare quasi tutti i dettagli della scena e registra tutto ciò che vede, dai lavoratori nei campi, alla luce che filtra attraverso le fessure, alle mosche che ronzano sui bicchieri vuoti.
Lo stile flaubertiano presenta caratteri rintracciabili singolarmente anche in opere di altri scrittori precedenti, da Jane Austen a Honoré de Balzac, ma in nessuno sono tutti così marcati fino all’arrivo di Madame Bovary.