L’importanza e la necessità di essere tra i giusti, contro le mafie
Ad accoglierti tanti fogli colorati, storie di vita di chi è stato capace di rischiare. Perché combattere contro un male come la mafia è per quelli che il coraggio possono donarlo agli altri, spesso attraverso il proprio sacrificio. Pensare che ogni foglio, ogni colore, ricordano il nome di chi, i colori della vita non può guardarli più, fa molto riflettere.
Tutti coloro che hanno lottato, hanno agito per un obiettivo comune, la sete di giustizia, che l’ambiente omertoso di cui erano circondati, di cui siamo circondati, non riusciva e non riesce a placare. Chi lotta, non può, non vuole mettersi una pietra sulla coscienza, la vuole sentire libera. Libera di dire, libera di fare, di osservare, di mostrarsi, libera di farsi avanti innanzi a un P.M., anche se questo vorrà dire far parte di un programma di protezione testimoni; cambiare casa, cambiare città, allontanarsi dai propri cari per colpa di chi, di caro, ha solo la prevaricazione e la crudeltà.
Questi, tra i tanti aspetti approfonditi, a “Terra. Solchi di verità e giustizia”, l’evento organizzato dall’associazione “Libera contro le mafie” e tenutosi a Milano e nelle maggiori città italiane, in occasione della XXIII giornata della memoria e dell’impegno nel ricordo delle vittime contro le mafie, il 21 marzo 2018. Una musica di sottofondo accompagna i pensieri commemorativi verso quelle vite; una musica dolce, come dolce deve essere il loro ricordo.
La dolcezza del ricordo contrasta fortemente con la durezza della loro scelta. La scelta di non mettersi in un angolo, di riconoscersi come parte delle società e per questo essere in grado di assumersi le correlative responsabilità, la capacità di scegliere da che parte stare. Quella giusta. Una giornata così importante non poteva essere disconosciuta, ignorata, calpestata. Una giornata così importante poteva essere solo onorata, e anche lo Stato dallo scorso anno, ha aderito a questa scelta.
Ci sono persone di ogni età, anziani, giovani e bambini. Passato, presente e futuro di una comunità che guarda sempre al meglio. Perché il cattivo tempo ci ha fatto imparare a godere delle cose belle e giuste che la vita ci dona continuamente. Funzionari dell’ordine pubblico, il primo cittadino Giuseppe Sala, il magistrato dottor Alberto Nobili, il presidente nazionale dei partigiani Roberto Cenati, il regista Marco Tullio Giordana, tutti presenti a ricordare che le belle parole non bastano.
La formazione è l’arma che, apparentemente inoffensiva, si insinua tra le piaghe di questo male incurabile è può sconfiggerlo lentamente, con decisione. E vince, ce la può fare. Solo però con l’impegno profuso costantemente, impegno cui Milano cerca di rispondere come affermato dal sindaco Sala. E solo con il rispetto di chi si ha davanti ogni giorno, si può capire come continuare a condurre questa lotta. Con la condivisione. Di quello che è ingiusto. Del dolore. Della morte. Se condividiamo, sappiamo che quella realtà a noi avversa è tangibile, è vera, ma allo stesso tempo sappiamo che la possiamo combattere, è un’ideologia da sradicare.
E allora come si fa? Nello stesso modo in cui ci si è resi conto di cosa è male, di cos’è il male. La sua eliminazione avviene con lo stesso meccanismo che ne ha determinato l’identificazione: la condivisione. Occorre infatti essere sulla stessa lunghezza d’onda per raggiungere il prima possibile un obiettivo comune, il bene comune. Il giudice Nobili conferma che un ostacolo temuto dalla mafia è la cultura, che come un muro può essere a questa opposto. E la cultura, prosegue, non è la quantità di nozioni di cui si è a conoscenza. E’ piuttosto qualcosa di non quantificabile come il coraggio e la dignità, la possibilità di donare un pizzico di fortuna a chi, invece, non è arrivata.
Il segreto sarebbe per tutti uno solo, ancora più importante per le giovani generazioni: non banalizzare la propria vita. Datele un senso, diamogli un senso, quello che nessuno delle nostre vite avrà se sceglieremo di rimanere nell’ombra dell’omertà che pare tanto più sicura di quanto non sia trovare invece un’alternativa, una via d’uscita.
La luce, la verità, la giustizia sono sicurezze. Il silenzio è una finta speranza, di qualcosa che non ci toccherà mai o che comunque non ci riguarda in quel momento da vicino. Dobbiamo tenere bene a mente, però, che la mafia sbaglia anche bersaglio e la voglia di fare sangue non guarda in faccia nessuno.
Come Pasquale Lino Romano, che il 15 ottobre 2012 uscito dall’appartamento della fidanzata, viene ucciso da quattordici colpi d’arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata. I sicari non si accorgono che Pasquale non è chi cercano veramente, Domenico Gargiulo: non hanno atteso un sms che avrebbe dovuto informarli dell’uscita del loro vero obiettivo. Trent’anni. Una vita davanti. Una vita spezzata. La sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. E allora ancora cosa possiamo fare? Renderci utili agli altri, contribuendo alla vita della collettività, esponendoci per non rimanere isolati e per non far isolare gli altri, perché anche attraverso l’isolamento, la mafia viene fomentata. Chi non si sente solo, ha meno paura. Vengono pronunciati i nomi di 972 vittime. Sì, sì, leggete bene 972. Non sono numeri. Sono eroi che hanno continuato a sostenere le loro credenze, i loro ideali, e hanno voluto sperare sempre che ci fosse un’altra possibilità, al menefreghismo e alla strafottenza di questa società.
Una società in cui voltarsi dall’altra parte e lasciar correre è la via più facile e quella più oscura al contempo. E la strada alternativa fa paura, perché pochi la percorrono, perché non è poi così conosciuta e così sicura e chissà perché è anche quella più difficile, ma allo stesso tempo trasparente e piena di luce. Sulle note di “Che sia benedetta” di Fiorella Mannoia, i bambini presenti mostrano gli aquiloni costruiti per far volare le loro idee, le loro aspirazioni e i loro sogni più in alto possibile, prendendo esempio da chi quegli aquiloni può osservarli dall’alto, speranzoso che il suo sacrificio non sia stato vano, che ha piantato un seme. Starà a noi prendercene cura per vederlo germogliare.
Non è un caso che questa manifestazione avvenga nel mese di marzo: la rinascita avviene proprio in Primavera ed è da qui che bisogna partire per essere certi di avere ogni giornata piena degli stessi colori di quei foglietti. Tutti siamo chiamati a collaborare. Denunciare, parlare, farsi sentire perché la paura stessa cominci a tremare e a tirarsi indietro. Personalmente ringrazio ciascuna di quelle vittime, per avermi e averci portato l’esempio che la loro vita ci ha permesso di conoscere. Perché le persone giuste mi fanno sperare, una volta di più, che esista, con assoluta certezza e se lo vogliamo, un’alternativa al male.