I ragazzi possono scegliere da soli i libri? Basta letture obbligatorie nelle scuole
I ragazzi possono scegliere da soli le proprie letture? In un’epoca in cui la libertà individuale sembra essere uno degli imperativi fondanti del nostro modo di pensare, ancora ci sono delle voci fuori dal coro, che, per quanto discutibili possono essere, hanno almeno il pregio di aprire dei dibattiti interessanti. Sandra Stotsky, responsabile degli standard educativi per le scuole pubbliche del Massachusetts, si autodefinisce come una “nonna ebrea professionista”. Tuttavia, afferma che i ragazzi non debbano scegliere autonomamente i libri da leggere e che c’è il bisogno di inculcare certi testi difficili e formativi ai più piccoli. Insomma, per l’Hanukkah niente Hunger Games o Twilight per i nipotini di Sandra.
Che i giovanissimi abbiano un rapporto complicato con la lettura è ormai chiaro, perché l’atto del leggere, con tutta la lentezza, la concentrazione e la pazienza che implica, è una rarità in un sistema sociale e culturale che va veloce ed è incalzante. Credo che siano pochissimi gli studenti o ex-studenti che non abbiano mai avuto a che fare con le letture “obbligate”, “consigliate” o “estive”. Alzi la mano chi non ha mai sbuffato nel vedersi assegnare decine di tomi uno più lungo e prolisso dell’altro, magari anche con verifica o interrogazione finale per controllare la lettura, proprio quando si è in un’età in cui l’ultimo desiderio è quello di essere pressati con obblighi e scadenze.
La Scholastic Corp., una casa editrice statunitense per bambini, ha pubblicato un sondaggio in cui era evidente la correlazione tra la percentuale dei giovani lettori forti e quella dei ragazzi con la possibilità di scegliere autonomamente i libri da leggere. Chi può scegliere le proprie letture, legge di più. È indicata come tre volte più alta tra quelli che leggono molto la probabilità che uno studente dica che ha del tempo per leggere un libro a scelta a scuola, rispetto a quelli che leggono poco.
Tra i commenti sul web alla posizione di Sandra Stotsky, uno mi ha molto colpita: «Alle superiori un insegnante ci disse che per noi era inutile perdere tempo a studiare letteratura italiana perché tanto nella nostra vita, in quanto geometri, avremmo avuto a che fare coi contadini e pertanto l’italiano e la storia non ci servivano. Inutile dire che sono diventato un grande lettore». Penso anche ai miei ex-compagni delle superiori, al tempo davvero poco innamorati della lettura, che da medici o ingegneri hanno riscoperto ora il piacere dei libri, proprio perché lontani dall’obbligo e da un metodo scolastico troppo freddo di proporre i grandi classici o i capolavori contemporanei. «Dei Malavoglia sono arrivato a pagina 10. Pirandello sì e no qualche mezzo capitolo. Avevo Asimov, Crichton e Verne sul comodino io, non avevo tempo da perdere con quello che mi consigliava quella bacchettona della professoressa di Italiano», altro commento.
I giovanissimi sono tutti dei potenziali lettori che vanno stimolati, non forzati. Se tra le loro letture passa anche un “50 Sfumature di Grigio”, non c’è bisogno di scandalizzarsi, perché ognuno ha bisogno di tempi e sollecitazioni diversi. Forse, per attirare l’attenzione dei ragazzi, alcuni insegnanti potrebbero anche solo per un attimo accantonare Manzoni e proporre dei titoli nuovi, scottanti, provocatori e anche commerciali, perché no, instaurando poi un dibattito. I migliori libri li ho scovati dopo aver toccato per inesperienza il fondo della letteratura. Inoltre, i grandi classici vanno tramandati, ma bisogna cambiare metodo. Si può usare il “vedo, non vedo”, stuzzicando gli studenti con aneddoti e curiosità che poi spingono i ragazzi a voler leggere l’opera completa. E poi, se Kafka non si legge a diciotto anni, niente impedisce che certe letture si affrontino più avanti nella giovinezza, magari con più maturità.
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Redazione
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