Il nuovo mercato editoriale impoverisce davvero la lingua italiana?
“Italiano addio: per colpa del mercato la lingua italiana è sempre più povera”. Questo è il titolo del “L’Espresso” del 13 febbraio, scritto da Elvira Seminara, che ha cominciato un dibattito che sta rimbalzando non solo sulle pagine dei giornali, ma anche in radio e nei salotti letterari. “Scusate se inizio così, ma c’è una parola che muore mentre leggete questo pezzo. Ogni mattina, in qualche parte del mondo, c’è uno scrittore che insegue una parola, l’ha solo intravista ma ne possiede il suono, la fiuta, la bracca e infine l’afferra. Mentre la scrive, come faceva la Dickinson, la guarda brillare. Ma ogni mattina, nel mondo c’è un editor che la spazza via. È una parola poco ordinaria – ti spiega – inconsueta (stavo per dire desueta, ma anche questa è da evitare), astrusa (forse anche astratta, se non astrale) insomma poco riconoscibile, poco reale, non familiare, addirittura poetica.” La scrittrice rimprovera che in fase di editing a uno dei suoi incipit fu messo in discussione un termine “Non si era mai visto, a casa mia, un autunno così smodato.” Le venne suggerito di cambiare la parola “smodato” con particolare, lei si oppose, le cambiarono editor e dopo un dibattito costruttivo la parola rimase al suo posto. Le ribatte Rosella Pastorino, scrittrice ed editor, sul numero del 25 febbraio:” Una parola ha senso, è giusta soltanto se è coerente con la frase che la contiene, con il registro di quella pagina, con il tenore di quella scena. Può una singola parola annullata cambiare le sorti di un testo?”. Elvira Seminara afferma che le case editrici tendono a confortare il lettore per non perturbarlo, a semplificare e omologare il linguaggio. Le risponde Wanda Marasco nel “L’Espresso” del 19 febbraio “Si confonde facile con semplice. La lingua facile è quella della tv, dei social, non fonda originalità e bellezza, non è nemmeno equivalente al valore di una lingua trasparente e comunicativa. L’inciampo è fertile e l’urto fa crescere. È una legge che vale per la vita e per l’atto della conoscenza. La lingua semplice, invece, è il risultato raggiunto, per esempio, dalle pagine di Buzzati, della Morante, della Ginzburg e di tanti altri. È un lavoro raffinatissimo, simile a quello del poeta.
Il 28 febbraio nella trasmissione radiofonica “Fahrenheit” di radio 3, Elvira Seminara afferma: “Semplificazione, standardizzazione, aziendalizzazione del sapere è una distorsione legata al mercato” Le risponde Antonio Franchini, direttore editoriale della Giunti, editor e scrittore: “L’editor fa in modo che il testo sprigioni al meglio le sue potenzialità, non si deve livellare il testo, uniformarlo a uno standard. Questo è un editing sbagliato”. Franchini continua affermando che a tutti gli scrittori può capitare un editor sbagliato, ma ci sono scrittori italiani contemporanei che hanno una fortissima espressività e letterarietà, cita Michele Mari. Viviamo una compresenza di linguaggio che non è mai stata più ricca di adesso. Christian Raimo, sempre ai microfoni di “Fahrenheit” punta il dito sull’istruzione, sul taglio dei fondi alle università, uno dei luoghi della lettura per eccellenza. Solo attraverso il ritorno a un conflitto reale sulla politica della lettura che secondo lui è stata disastrosa negli ultimi dieci anni, si potrà tornare a recuperare lettori. Secondo lo scrittore, editor e professore, le case editrici hanno la colpa di non essersi opposte al taglio di fondi all’istruzione e di aver puntato a fidelizzare solo i lettori forti per poi puntare su un’editoria di mercato.
Io sono una lettrice e continuerò a leggere avidamente letteratura e mille altre cose. Mi inserisco quindi in questo dibattito per dire che il panorama editoriale, letterario e dei lettori è vario. Ci sarà sempre spazio, forma, sostanza per ognuno e per i gusti di tutti. Si parla di omologazione anche se nel panorama letterario ed editoriale attuale c’è una grande varietà di autori, lettori ed editori. Un bravo scrittore si distingue perché con lui emerge il suo modo di fare arte, di percepire il mondo e di usare le parole. Questi autori non impoveriscono la lingua, ma apportano un arricchimento culturale, sommando il loro stile, la loro arte, la loro visione del mondo a quella di altri. Quello che manca è portare pubblico alla lettura. Tornare a investire in cultura è un ottimo modo per accompagnare i ragazzi a crescere leggendo. Educare non è solo un compito scolastico, ma anche familiare. I miei figli di sei e otto anni leggono Sepúlveda, Pennac e Geronimo Stilton. Quando sono con me i bambini usano un metro linguistico, quando sono con i loro amici ne usano uno diverso, che alle volte non comprendo, lo ammetto. Non è forse anche quella comunicazione ed evoluzione linguistica? Questo non cambia il loro bagaglio culturale e la loro capacità critica. Gli adulti che leggono sanno gestire la pluralità di offerta e la qualità letteraria che hanno di fronte. Le case editrici non cercano lo youtuber perché usa un linguaggio più accessibile, ma perché ha un pubblico. Gli adulti che leggono hanno voglia di leggere letteratura e non letteratura. Chiudo con le parole di Seminara a “Fahrenheit”: “Qual è l’identità dello scrittore? Siamo tantissimi, fragili, confusi, disorientati, abbiamo troppe sollecitazioni, vorremmo essere sempre presenti, abbiamo paura di diventare invisibili, afoni. Questa non è l’era liquida: tutto si condensa ed evapora. Questa è la mia percezione.” Io penso che a ogni scrittore che si sente fragile, ne corrisponda uno che si scolpisce un linguaggio granitico che lascia inevitabilmente un segno letterario a prescindere dall’editor e dall’editore. Mercato o non mercato leggere non ci renderà analfabeti o poveri lessicalmente, è non leggere affatto che impoverisce e che ingenera tutte quelle problematiche di cui abbiamo parlato sopra.