Ezra Pound, il poeta che trasformò il manicomio nel cenacolo del Novecento
Su tutto, due cose. Anzi, tre. Primo. Tramutò un ospedale psichiatrico criminale, il St. Elizabeths di Washington D.C. nel “circolo letterario ortodosso del pianeta… convocato da un fascista, recluso in manicomio, che radunò turisti, attivisti, ambasciatori, accademici, i più famosi poeti dell’epoca, T. S. Eliot, Robert Lowell, Marianne Moore, W. S. Merwin, Charles Olson, Allen Tate, William Carlos Williams, John Berryman, Archibald MacLeish…”. Tutti a studiare il ‘fenomeno’ Ezra Pound (in apertura, nella fotografia, pazzesca, di Lisetta Carmi), più che accorsi a fargli visita, “agli occhi dei visitatori, Pound aveva la lucentezza di un simbolo. Era uno specchio su cui riconoscersi, era materia prima, era una via verso l’altrove lirico, e ognuno vedeva in Pound ciò che voleva vedere”. Secondo. “I dottori si tramutarono in critici letterari”. Proprio così. Per comminare la diagnosi e studiare la cura i luminari leggevano i Cantos. Quel groviglio di urla, quella fioriera di documenti – dai manoscritti esumati del Rinascimento senese, riminese, veneziano, alle perle di Confucio, dagli annali cinesi ai bagliori omerici – quel filo spinato di perpetui elettroshock lirici. Ezra Pound, il poeta più influente del Novecento – chiedete, nel ring Italia, a Eugenio Montale e a Pier Paolo Pasolini, per dire, ma pure a Tonino Guerra che, da altra sponda poetica, lo idolatra – è arrestato dai partigiani il 3 maggio 1945. Prima lo tengono a Genova, poi lo sbattono in un campo di concentramento americano a Pisa, poi, novembre 1945, volo a Washington, condanna, internamento al St. Elizabeths. Liberato nel 1958, vive prima a Merano, nel castello dei de Rachewiltz, dove ancora abita la figlia Mary, poi torna a Sant’Ambrogio, a Rapallo, in Liguria, infine a Venezia, dove muore, il primo novembre del 1972, 45 anni fa – e lì è sepolto insieme all’amata Olga Rudge. Pound era stato ‘mussoliniano’ (incontra il Duce a Roma, nel 1933), fu accusato di fare propaganda antiamericana via radio (ma leggeteli i suoi Radiodiscorsi, che è meglio, li ha stampati un piccolo, tenace editore di Ravenna, le Edizioni del Girasole, nel 1998), dissero che era antisemita. “Qualunque cosa il diavolo abbia confabulato con me – voi dovete decidere se curarmi o punirmi”: così Pound sfidò i propri dottori. Optarono per la punizione. “Nel 1946 una giuria ritenne Pound ‘insano di mente’, incapace di affrontare il processo intentatogli, che fu basato, perciò, da poesie lette durante l’udienza”. Condannato per attività poetica illecita. Compulsando i Cantos – l’opera lirica più ardua e ardita mai scritta – i dottori cavarono la malattia. “Nel 1955 a Pound fu diagnosticato un ‘disordine psichico’, non specificato. Nel 1958 la diagnosi diventa “disturbo narcisistico della personalità, dichiarato permanente e incurabile”. Ultima cosa. A mo’ di epigrafe e di chiave di volta. “Ezra Pound è l’uomo più difficile del ventesimo secolo”. Mentre in Italia attendiamo una nuova traduzione dei Cantos – l’attuale, tradotta con dedizione dalla figlia Mary, giace nei ‘Meridiani’ Mondadori: sogniamo una traduzione composta da un pool di poeti italiani – negli Stati Uniti un libro mette l’indice nell’ulcera della ‘follia’ di Pound. Scritto da Daniel Swift, insegnante al New College of the Humanities e articolista per il New York Times, il tomo The Bughouse: The Poetry, Politics, and Madness of Ezra Pound (Farrar, Straud and Giroux, pp.320, $ 27.00), ripercorre gli anni bastardi del poeta, dal 1946 al 1958. Lo studio è ‘all’americana’: pieno di dati e di date (si dettaglia, ad esempio, la mappa del St. Elizabeths, ricordandone la remota ‘teorica’, Dorothea Dix, vigorosa femmina che a metà Ottocento tentò di rendere migliori le condizioni di vita dei matti), con una certa verve narrativa (ma il vero ‘classico’ in materia è La gabbia di Pound di Piero Sanavio, Fazi, 2005). Più che altro, il merito di Swift è di aver imposto all’attenzione anglofona il ‘problema Pound’. “L’antisemitismo, il supporto prestato a Mussolini durante la Seconda guerra, la fama acquisita tramite una serie di inintelligibili trasmissioni radio per cui è stato accusato di tradimento, hanno offuscato il genio di Pound nell’immaginario popolare. Non esiste Pound il poeta, ma Pound il poeta fascista. E la sua reputazione ci costringe ad affrontare la questione se l’arte possa essere considerata a lato, a parte, rispetto alle convinzioni dell’artista”, scrive Scott Beauchamp su The American Conservative (l’articolo è qui ). Vita e poesia, in Pound, coincidono, una penetra l’altra, non possiamo disarticolare Ez facendone, da un lato, il folle fascista che ha preso una clamorosa sbandata politica, e dall’altra il vertiginoso poeta che ha fondato riviste, avanguardie, estetiche. Ez è uno. Unico. Quando nel 1948 Pound ottiene il Bollingen per i Pisan Cantos – una specie di risarcimento all’infamia comminato dagli amici poeti – è chiaro a tutti che il poeta ha ruminato e vomitato la Storia. Vinto dalla Storia, invitto davanti agli uomini. Pound è ancora l’agnello sacrificale del Novecento.