esiste sempre il peggio
Benedetta abitudine di leggere i commenti nei post in Facebook, o in qualsiasi portale con accesso libero agli interventi dei viandanti del Web: amo curiosare nelle opinioni altrui, imparo tanto e mi metto in discussione, ma riesco a perdere la flemma (scarsa) che mi contraddistingue in alcune situazioni specifiche. Una di queste situazioni è la ricerca del morto più emblematico, il dramma peggiore. Uccidono un tot di persone in Germania e, puntuale, arriva qualcuno che ci ricorda che i poveracci tedeschi in fondo sono pochi e privilegiati: i bambini in Africa muoiono di fame ogni secondo, e in Siria sono dilanianti dalle bombe, e qua oppure là le peggiori nefandezze rendono i morti tedeschi una bazzecola, un dettaglio quasi risibile. Idem per i morti francesi, portoghesi, italiani, libici, sudamericani, giapponesi: per ogni dramma ne esiste uno peggiore, ma soprattutto esiste qualcuno che puntualizza. Puntualizzare a volte è becera abitudine per cercare visibilità. Una beata innocente ha tentato di discutere con me in Facebook, poco tempo fa, e mi ha allegato (dimostrando di avere capito niente dei miei post e della discussione, ma amen) la definizione Treccani di “commento” e “chiosa”: ecco, sono quasi certa si tratti di una persona che di fronte ai morti stabilisca una differenza di merito e dignità. Commentare è meraviglioso, chiosare una scelta, puntualizzare un dovere in alcuni casi e un’esibizione vacua in tanti altri. Ecco perché, lo dico senza timore di critiche (dite, dite pure), rispondo solo quando mi sembra che i commenti che ricevo nei vari blog abbiano alla base la buona fede e non la mera esibizione di sé e quel pizzico di invidia che non guasta mai. Ritorniamo ai morti di serie A, B, C e Z. Che morti saremo, noi? Saremo ricordati senza che qualcuno puntualizzi affermando che in fondo siamo stati belli e felici, ed è peggio un morto altrove in condizioni atroci?
La verità è che ogni vita ha valore enorme, unico. La verità è che ogni morte chiederebbe un respiro di silenzio rispettoso, amore e una preghiera anche laica ad accompagnarla. Ognuno di noi è unico e assoluto, ognuno di noi lascia qualcuno che si sente perso per il dolore. Quindi non esistono gerarchie nei drammi, dovremmo guardarci in casa prima di parlare. Siate onesti, ma onesti davvero: quando avete perso qualcuno che amavate moltissimo siete stati a pensare a quanti anni avesse e se fosse più o meno giusta quella morte rispetto a un bambino siriano? Rispondo io per voi: non l’avete fatto, ed è giusto così. Il nostro cuore, la nostra empatia sono tanto grandi da essere in grado di comprendere TUTTI: i parenti, i morti di ogni nazionalità, le tragedie ovunque. Possiamo amare tutti, soffrire davvero e a fondo per ogni dramma cui assistiamo, e possiamo darci da fare per migliorare il mondo senza suddividerlo in buoni, cattivi e più o meno meritevoli di vivere. Stabilire scale di importanza non solo è ingiusto, ma non rende l’idea di ciò che siamo. Siamo grandi anime, cuori immensi, energia senza fine.
Credete che stia svilendo la morte dei bambini, dei miseri, dei derelitti, dei torturati, dei cosiddetti ultimi? No, niente affatto: chi mi conosce sa che non è da me farlo. Ma non abbandono coloro che agli occhi di alcuni hanno più diritto di morire perché tanto sono più fortunati.
Se lo facessi io, se giudicassi chi ha più titolo a vivere o morire nella metà del mio lavoro del medico impegnato in oncologia quale sarebbe il risultato? Per ogni paziente che si presenta dovrei meditare su quali altri pazienti eventualmente abbiano età, condizione familiare e personale, meriti maggiori nella vita, e successivamente decidere se dedicarmi o meno alla cura, e quando e perché. Se stabilissi un elenco ragionato di quali pazienti meritino di più e quali meritino meno tradirei la mia essenza: ho scelto di aiutare, e basta.
Amare, e basta. Piangere i morti, e basta. Impegnarci per un mondo migliore, senza puntualizzare. E basta. Così voglio vivere. Se continuiamo a cercare “gli ultimi più ultimi” perdiamo tempo prezioso da usare per vivere e amare, donando aiuto ed energia.
(E ringrazio Alberto Luini che mi ha prestato una sua foto in sala operatoria in IEO).